Gli editoriali

a cura del prof. Montefrancesco

L’adolescente in viaggio verso se stesso

Datemi una barca”, disse l’uomo. “E voi, a che scopo volete una barca, si può sapere?”, domandò? il re. “Per andare alla ricerca dell’isola sconosciuta”, rispose l’uomo. “Sciocchezze, isole sconosciute non ce ne sono più. Sono tutte sulle carte”. “Sulle carte geografiche ci sono soltanto le isole conosciute”. “E qual è quest’isola sconosciuta di cui volete andare in cerca?”, “Se ve lo potessi dire allora non sarebbe sconosciuta”. Parole di Josè Saramago, rubate da un suo piccolissimo quanto meraviglioso libro, “Il racconto dell’isola sconosciuta”, un’allegoria, tra sogno e realtà, della ricerca dell’uomo: cosa cerco? Dove posso trovare ciò che sto cercando? Come posso raggiungerlo? Un viaggio, a tratti onirico, che porta ad una vera scoperta: siamo noi l’isola sconosciuta! E chi, più di un adolescente, è in viaggio verso se stesso? Un corpo che cambia, difficile da accettare, un’identità personale e sociale da costruire e scoprire, il bisogno di sentirsi parte di un gruppo, di sentirsi accettati, la relazione con l’altro, il sesso, le ambizioni e i sogni che si scontrano con la realtà, le regole, il mondo adulto. L’adolescente vive, di per sé, in uno stato di “ipertrofia emozionale”, in cui qualsiasi esperienza e accadimento può avere un forte impatto nel giovane in divenire. Tutto ulteriormente amplificato dalla nuova cultura “social”, fatta di condivisione, estetica, seguaci (followers) e giudizi (cuori, like, smile, retwitt). Tutto è accelerato, anche l’adolescenza: la ricerca della propria identità diviene urgenza. Urgenza che si esprime innanzi tutto con il corpo. Frugando nell’armadio vengono scelti vestiti che possano distinguere, ma anche far accettare dagli altri: negli anni ’80 un adolescente se la cavava con chiome vaporose, colori scargianti e pantaloni a vita alta, oggi non c’è un’unica tendenza, anzi, tutto può diventare alla moda, e ciò che va di moda oggi, domani è già passato. Il tempo scorre e devi capire chi sei. Diventa così importante sentirsi parte di qualcosa, che sia altro dalla propria famiglia, qualcosa che rispecchi i nostri gusti, i nostri pensieri, i nostri valori, o semplicemente qualcosa che soddisfi il voler sentirsi uguale al gruppo e diverso dagli altri, da chi è fuori. Certo è che esistono gruppi e gruppi: riconoscersi in un gruppo di coetanei che condividono gli stessi gusti musicali è certamente diverso dal riconoscersi in un gruppo che in realtà è “branco”, ovvero insieme di individui che si uniformano passivamente al comportamento del “capobranco”, il leader, spesso rispondendo a prove di coraggio, poiché attraverso lo scontro con il pericolo puoi dimostrare chi sei. Fanno sempre più notizia le “baby-gang”, gruppi di ragazzi violenti che si rendono autori di pestaggi, stupri, rapine, atti vandalici. Questi branchi nascono  spesso nelle periferie, nelle zone grigie, zone di abbandono e di esclusione sociale, dove il tasso di dispersione scolastica impenna. Mancano servizi, musei, centri sportivi, luoghi di sana aggregazione. Non c’è spazio. E allora si risponde al malessere con la violenza, con la rabbia, con la forza. Di paripasso nascono le dipendenze dal fumo, dall’alcol, dalle droghe e dal gioco d’azzardo. Le prime sigarette che non sai nemmeno come tenerla in mano, il primo bicchierino di vodka che ti manda a fuoco lo stomaco, la prima canna che ti rallenta tanto da non capire se stai per svenire, i primi 2€ giocati alle slot che “ho quasi vinto” e invece hai proprio perso. La maggior parte di queste dipendenze nasce per aggregazione: fumare una sigaretta mi consente di attaccare bottone con l’altro, il bicchierino di vodka mi rende disinibito, la canna da passarsi l’un l’altro unisce il gruppo e crea condivisione. Gestualità e vizi che nascono, alle volte, per andare contro le regole, per sentirsi grande. Gestualità e vizi che nascono per rispondere alla necessità di un rituale, che altro non è che fermare il tempo e ritagliarsi spazio. Ma l’orologio va avanti, le domande senza risposta aumentano, ogni giorno di più, e ancora non sai chi sei. Per le ragazze la rabbia e il malessere passano soprattutto attraverso il cibo. In questo mondo fatto di canoni estetici disumani e surreali i corpi in mutamento delle adolescenti non trovano la corrispondenza sognata. Ogni giorno, attraverso qualsiasi canale comunicativo, veniamo inondati da corpi ritoccati alla perfezione ma che crediamo reali. E allora inizi ad odiarti, a non voler più il tuo corpo. A tavola nascondi nel tovagliolo il cibo “in più”, mangi per forza e poi ti rinchiudi in bagno e con due dita in bocca e le lacrime agli occhi vomiti tutto quel cibo che ti allontana dal corpo che vuoi essere. Ma il rapporto con il cibo non risponde solo ad un’esigenza estetica. Il più delle volte è sintomo di una comunicazione malfunzionante con il mondo esterno: “il non mangiare mi rende magra e debole, così tutti sapranno che sto male, finalmente si accorgeranno di me”. E se alcune ragazze smettono di mangiare, altre trovano rifugio e conforto solo nel cibo. Un’altra domanda è sulla propria sessualità, che ha sempre a che fare con il proprio corpo che cambia, un corpo ancora tutto da scoprire. L’incontro con il sesso, come per tutto il resto, avviene molto presto, come se la verginità fosse un’etichetta scadente da staccarsi di dosso il prima possibile. È la tua prima volta e non sai se è così che si fa, se è durato abbastanza, se ti è piaciuto, cosa significa. Non sai se davvero ti piace l’altro sesso, ti senti attratto dai maschi, o attratta dalle femmine. Chi sei? Provi a risponderti da solo, nel turbinio degli ormoni, sperimentando cosa ti piace di piA? nelle categorie dei siti pornografici, ormai accessibili anche da bambini di 6 anni. Tutto è detemporalizzato, tutto è anticipato. Sembra non esserci tempo nemmeno per una carezza. E invece dovremmo rallentare lo scorrere dei minuti, rallentare la frenesia delle risposte da darsi, alleggerire il sovraccarico di emozioni per poterle distinguere e non confondere. I ragazzi e le ragazze, giovani e adulti in divenire, hanno bisogno di individuarsi in autonomia, ma allo stesso tempo vanno accompagnati in questa ricerca. Non si può? partire da soli alla ricerca dell’isola sconosciuta, ci vuole il giusto equipaggio.La famiglia non riesce sempre a salpare insieme all’avventuriero, anzi, spesso gli rema contro, senza volerlo, semplicemente senza capirlo, senza avere il tempo per ascoltarlo. Ma c’è (o ci sarebbe) un valido equipaggio: la scuola, che, oltre alla matematica e alla grammatica, ha il compito di educare alla maturazione emotiva. E cosa significa scuola? Vuol dire, letteralmente, “tempo libero”, “riposo”. È sorprendente quanto la lingua possa racchiudere il significato profondo delle parole. Ci vorrebbe una scuola che metta al centro le ragazze e i ragazzi, che risponda al malessere, che costituisca uno spazio di libera espressione di se stessi, uno spazio di incontro e scontro con le idee dell’altro, una scuola che insegni il tempo, che prenda per mano e guardi negli occhi, lontana da giudizi, voti e numeri. Lontana dalla frenetica condivisione del finto essere. Così, e solo così, si potrà arrivare all’isola sconosciuta. “Tutte le isole, anche quelle conosciute, sono sconosciute finché non vi si sbarca”. Alessandra Moreschini