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dott. Giuseppe Montefrancesco

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Metamfetamine e rischio di malattia di Parkinson

Le metamfetamine sono droghe che appartengono al gruppo degli stimolanti/eccitanti assieme alle amfetamine, alla efedrina, alla cocaina, al caffè, al Khat e alle centinaia di sostanze che si possono sintetizzare con estrema facilita.
Le metamfetamine si presentano come:

  • cristalli, dette in questa forma anche ice, di varia grandezza, che vengono fumati, ingeriti o iniettati;
  • polveri, sono sempre cristalli ma tanto piccoli da essere come una polvere di colore bianco (o anche differente) che può essere iniettata, ingerita o sniffata;
  •  le compresse, di vario colore e talvolta riportano sulla superficie disegni, loghi visti sulle compresse di ecstasy. Si ingeriscono o si frantumano e così si sniffano o si iniettano;
  • la metamfetamina base, polvere oleosa o pasta, che può essere iniettata o ingerita.

Ragione del Parkinson
Gli effetti collaterali delle metamfetamine sono commisurati ai vantaggi come nella vita – e sono tanti. Tra questi vi è la possibilità che esse possano procurare danni a tutto il sistema dopaminergico compresi quei neuroni del sistema esattamente implicati nello sviluppo della malattia di Parkinson, perchè questi neuroni sono fondamentali per il controllo del movimento. Sono i neuroni dopaminergici striatali  dello striato dorsale – cioè quelli che partono dalla substanzia nigra (è un posto del cervello), raggiungono i nuclei della base ( un altro posto del cervello ) e controllano il movimento.
In particolare in coloro che abusano di metamfetamine paiono presenti alterazioni delle parti terminali di tali neuroni, mentre nel Parkinson sono i corpi neuronali della substantia nigra ad essere implicati e a ridursi. Queste alterazioni però non sono stati osservate in maniera inequivocabile. Accade, inversamente, che i malati di Parkinson possono presentare disturbi dell’impulso, alterazioni comportamentali quando assumono dopamina; migliora il loro movimento ma assumo strani atteggiamenti di tipo compulsivo, verso il cibo, il sesso, il gioco d’azzardo o gambling. Alle donne si avviano verso lo shopping compulsivo o all’assunzione smodata di cibo (una sorta di bulimia).
Il motivo dello sviluppo del Parkinson nei consumatori cronici di metamfetamine è piuttosto complesso nel senso che non si è addivenuti ad una prova definitiva. Gli effetti neurotossici sul sistema dopaminergico sono stati descritti in varie specie animali e nell’uomo e appaiono caratterizzati da una desensibilizzare funzionale dei recettori dopaminergici, da una marcata riduzione dei trasportatori della dopamina e dei livelli della stessa dopamina.
Ad analoghe alterazioni sono stati osservate nel sistema serotoninergico. è anche probabile che negli utilizzatori di metamfetamine, di norma giovani, le alterazioni del sistema dopaminergico possano favorire lo sviluppo di parkinsonismo con l’andare dell’età.
Osservazioni cliniche: alcuni ricercatori statunitensi e canadesi per osservare se nei consumatori di metamfetamine vi era realmente un aumentato rischio e frequenza di sviluppo di Parkinson hanno condotto uno studio di coorte retrospettivo utilizzando registri di morte e dati sui ricoveri in California dal 1995 al 2005. Hanno confrontato la frequenza di malattia di Parkinson tra i 40.472 pazienti ospedalizzati per complicazioni legate all’uso di metamfetamina e controlli (appaiati per età, razza e sesso) ricoverati per complicazioni legate al consumo di cocaina ( 35 335 pazienti) o appendicite ( 207 831 pazienti).

I ricercatori hanno trovato che il rischio di sviluppare la malattia di Parkinson era più alta nei consumatori di metamfetamina del 75 % rispetto al gruppo di controlli con appendicite ed il rischio era più elevato anche rispetto ai cocainomani. Secondo gli autori l’aumentato rischio di malattia di Parkinson dipende specificatamente dall’azione delle metamfetamine più che dallo stile di vita che in fondo potrebbero essere molto simili per entrambi i tipi di consumatori. Gli stessi inoltre sottolineano che se tali risultati possono preoccupare circa l’uso di amfetamine (differenti comunque dalle metamfetamine) nel trattamento della narcolessia o della ADHD (malattia da deficit dell’attenzione e iperattività) in realtà le dosi utilizzate nella terapia di queste malattie sono comunque molto più basse di quelle usate da chi abusa di metamfetamine.

Fonti www.insostanza.it JAMA, August 24/31, 2011 a Vol 306, No. 8 D.E.Rusynian, Neurologic Manifestations of chronic methamfetamine abuse, Psychiatr. Clin. N. Am,, 2013,36,261-275.