News

dott. Giuseppe Montefrancesco

Responsabile del sito
Dott. Giuseppe Montefrancesco

[ VAI a tutte le NEWS ]

Il CBD (cannabidiolo) nella tabella dei farmaci stupefacenti.

Il “decreto sicurezza” e le infiorescenze di canapa

In breve

Il “decreto sicurezza” e la sentenza del Tar del Lazio che confermano il decreto ministeriale che inserisce le preparazioni orali a base di CBD nella tabella dei farmaci stupefacenti, segnano un punto di non ritorno per il settore in pieno sviluppo della canapa italiana.
Abbiamo creato il ministero “delle imprese e del made in Italy”, ma evidentemente ci sono delle imprese e un made in Italy che sono meno imprese e meno made in Italy di altri.
I ritardi della politica e la sordità del Governo stanno mandando in fumo anni di ricerca, di sviluppo e di investimenti trattando come droga un prodotto che droga non è.
La battaglia non è più solo economica e politica, ma culturale contro una guerra che ormai è una crociata.
Il governo ha deciso di eliminare il settore della canapa e lo ha fatto attraverso il decreto cosiddetto sicurezza, varato dal Consiglio dei Ministri e che conferma il divieto di importazione, cessione, lavorazione, distribuzione, commercio, trasporto, invio, spedizione e consegna delle infiorescenze di canapa.


Il decreto cosiddetto sicurezza promette effetti devastanti per il settore della canapa una delle filiere agroindustriali più promettenti del nostro Paese. La sua conversione in legge, e nulla al momento fa pensare al contrario, segnerà la fine di migliaia di aziende, di un mercato da centinaia di milioni di euro e la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro.

Il divieto della lavorazione, della commercializzazione delle infiorescenze di canapa manderà al macero un comparto che negli ultimi anni ha visto in Italia un crescente sviluppo.
…la norma che mette al bando le infiorescenze di canapa alle quali, come appunto previsto dal DDL sicurezza, si applicheranno le sanzioni previste dal testo unico sugli stupefacenti.
Il decreto vieta dunque la coltivazione e la vendita delle infiorescenze per usi diversi da quelli indicati
dalla legge 242 del 2016, cioè quella relativa al sostegno e alla promozione della coltivazione della filiera produttiva delle varietà di canapa indicate dalla direttiva europea del 2002.

Il fatto è che la legge regola la canapa con un livello di THC, cioè il principio psicoattivo della canapa, inferiore allo 0,6 % zero ovvero al di sotto della soglia del cosiddetto effetto drogante.
La stessa legge non cita però il commercio e la vendita delle infiorescenze, per cui, sfruttando questa carenza della legge e ribaltando anche il principio liberale (secondo cui ciò che non è proibito è lecito purché ovviamente non metta a rischio la sicurezza e la salute pubblica), con le sanzioni previste per le sostanze illegali, colpisce anche chi produce o usi infiorescenze senza effetti psicoattivi insomma stiamo parlando di qualcosa che droga non è.
Le infiorescenze contengono una quantità di THC inferiore a quella che provoca il cosiddetto effetto drogante e sono invece ricche di cannabidiolo, il CBD, che ha diversi effetti benefici.
Ma poiché le infiorescenze coprono un terzo della pianta e insieme agli estratti di CBD rappresentano una buona parte dei prodotti in vendita, vietare la lavorazione e il commercio dell’infiorescenza significa, di fatto, privare agricoltori e produttori della maggiore fonte di reddito e più in generale scoraggiare la coltivazione di canapa.
A farne le spese, dunque, non è solo la cosiddetta cannabis light, quella con un contenuto di THC inferiore ai limiti di legge, ma l’intero comparto della canapa industriale.
(La nota antiproibizionista 7 APR 2025)

La canapa legale
quella, cioè, che ha un contenuto di THC inferiore allo 0,5 % e dunque priva di affetti cosiddetti droganti ha visto un crescente sviluppo negli ultimi anni nel nostro Paese.
Aziende agricole, produttori e distributori hanno investito in coltivazioni sostenibili e nello sviluppo dell’intera filiera con un positivo contributo all’economia locali, al contrasto dell’abbandono delle campagne, all’incentivazione dell’imprenditoria giovanile e naturalmente poi positive ricadute anche in termini di sostenibilità ambientale, di salvaguarda del territorio anche di contrasto ai cambiamenti climatici.
Il decreto sicurezza colpisce, con le sanzioni previste per le sostanze illegali, ciò che droga non è.
Le infiorescenze di canapa contengono una quantità di THC inferiore a quella che provoca appunto il cosiddetto effetto drogante e sono invece ricche di cannabidiolo (CBD) che ha diversi effetti benefici.
Secondo un recentissimo studio, l’impatto economico diretto e indiretto delle sole infiorescenze, quindi senza nemmeno considerare gli oli al CBD e i trinciati, in Italia potrebbe valere fino a 3 miliardi di euro e produrre 22 mila posti di lavoro a tempo pieno. Il provvedimento contraddice la legge sulle droghe, la stessa legge sulle droghe, ma anche la convenzione unica sugli stupefacenti del 1961; ignora inoltre la consolidata giurisprudenza in materia, le decisioni della Corte di Cassazione, le sentenze del TAR del Lazio, della Corte di giustizia europea.
La Commissione Petizioni del Parlamento Europeo ha chiesto chiarimenti al nostro governo italiano riguardo la possibile violazione del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea in materia di libera circolazione delle merci prodotte legalmente all’interno dell’Unione a cui l’Italia non può opporsi.

Ma la guerra che il nostro Paese ha dichiarato alla canapa non si ferma qui.
Con una sentenza pubblicata pochi giorni fa, dopo diversi rinvii, il TAR del Lazio ha respinto il ricorso delle associazioni di settore contro il decreto ministeriale secondo il quale le preparazioni orali a base di CBD sono un farmaco stupefacente e vanno dunque inserite nella tabella dei medicinali della legge sulle droghe.
La motivazione principale della sentenza riguarda le possibili interazioni del THC presente in alcuni di questi olii, anche se in minima concentrazione.
Attenzione non è il cannabidiolo (CBD) in quanto tale ad essere classificato come sostanza da inserire nella tabella dei farmaci stupefacenti; la sentenza riguarda il CBD e i composti che lo contengono, non ricavato in laboratorio ma direttamente dalla pianta di canapa e che quindi potrebbe contenere una quantità di THC idonea a produrre, in astratto, un possibile effetto drogante.
Ne consegue che l’impossibilità di separare il THC dal CBD, sulla base del principio di precauzione, legittima il decreto ministeriale contro cui le associazioni di settore avevano appunto fatto ricorso.