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dott. Giuseppe Montefrancesco

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Che vuol dire “Chasing the Dragon ” ?

Con “Chasing the dragon” ci si riferisce alla pratica di inalare i vapori dell’eroina scaldata (più corretta dell’immagine dell’eroina fumata). In tutto il mondo, la pratica di fumare eroina è nota come chasing the dragon (inseguire il drago), traduzione di un’espressione gergale cantonese.[1] L’espressione è un chiaro riferimento alla tecnica utilizzata: l’eroina viene sistemata su un foglio di alluminio e viene scaldata utilizzando la fiamma di un accendino. La stagnola viene continuamente inclinata o agitata per evitare che l’eroina,liquefatta, diventi una massa ingestibile. Il liquido inizia così ad emettere un filo di fumo, che viene aspirato lentamente, utilizzando una cannuccia o un foglio di carta arrotolato. Il movimento della stagnola provoca lo spostamento del punto di origine del fumo, che bisogna continuamente seguire e da qui inseguire il drago, il termine con cui la tecnica è indicata. Quanto prima riportato è stato suggerito da un lettore che ringraziamo; lasciamo ugualmente l’errore in basso per far osservare la diversità interpretativa del fenomeno. Nei paesi asiatici l’eroina utilizzata in questo modo era spesso colorata di rosso e i fumi che fuoriuscivano potevano far immaginare, per i profili che disegnavano e per l’effetto ondulatorio, animali e figure fantastiche come i draghi. Questo spiega perché tale pratica è detta “chasing the dragon”, ovvero inseguire, risvegliare il drago. L’eroina “da fumare” ha una purezza tra il il 30% – 40% perché per molta parte essa viene distrutta dalla combustione. Attualmente viene segnalata una maggiore disponibilità di eroina nella forma base, appunto fumabile ma non iniettabile e tale modalità d’uso è anche conseguenza della conoscenza dei rischi connessi alla somministrazione endovena (HIV, epatiti, endocarditi etc). Secondo altri, fumare eroina, in alcuni posti, è un metodo consolidato d’uso e non soltanto una fase pre-iniettiva. Frank Dikotter, Lars Laamann & Zhou Xun, Narcotic Culture: A History of Drugs in China, University of Chicago Press, 2004, pag. 162