Gli editoriali

a cura del prof. Montefrancesco

Quella puttana di felicità

Ho inseguito per tutta la vita quella puttana della felicità. Puttana perchè si concede a tutti ma non si ferma con nessuno. Poi mi sono accorta che era stupido e pericoloso: stupido perchè non la raggiungevo mai e pericoloso perchè per strada facevo cadaveri.
Questo ho letto da qualche parte. Questo ha detto una donna. La felicità che fa cadaveri è come il cibo che rende obesi e l’acqua che fa annegare. Una frase amara e disincantata, una frase in cui trapela un senso di colpa che si risolve in senso di responsabilità. E’ vero tutti siamo alla rincorsa della felicità, soprattutto nelle nostre società opulente dove la felicità si associa alla disponibilità di soldi e di beni. Tutti siamo in pista nell’affannosa ricerca di raggiungere questo traguardo ma come ci ricorda Bauman: nella pista che porta alla felicità il traguardo non c’è. Siamo tutti uguali pur nelle diversità per questo molti riconosceranno una verità nella frase con cui abbiamo aperto. Ci omologhiamo dietro a una frase per timore che gli altri rifiutino le nostre diversità. In realtà non ci è dato sapere che cosa intendesse per felicità l’autrice del nostro incipit. Certo che ‘felicità’ è una parola alla quale chiunque può associare un proprio significato. Ognuno può ravvedervi un proprio senso ma in ballo c’è il raggiungimento di uno stato di perfezione, di pienezza, di grazia. Ma anche queste parole rischiano di risuonare vuote se non si narra il senso sotteso.
Ad esempio ad una persona che conosco è successo di sentirsi felice una notte in cui rimase sveglia, mentre tutti dormivano, e lei si fermò, in poltrona, a guardare la gatta che giocava con una pallina sul pavimento, nel silenzio accogliente della casa. Lei raccontava di aver vissuto un attimo di perfezione perchè si era sentita in pace con se stessa e con il mondo. Lei che era una persona molto conflittuale, in quei lunghi attimi sperimentò l’assenza di conflitto. Ma neanche le felicità ( forse è proprio al plurale che possiamo parlarne) come queste possono essere possedute o apprese in modo definitivo e lei il giorno dopo tornò a rivivere i propri conflitti pur avendo sperimentato che poteva essere diversamente. Non so se nella sua ricerca della felicitò questa mia conoscente abbia progredito, mi piace pensare che abbia un bel ricordo in cui rifugiarsi quando i conflitti torneranno ad essere insopportabili. Ma pul anche darsi che, nel frattempo, abbia deciso di ammazzare la madre ottantenne, o il marito, o i figli, o i vicini di casa, o il datore di lavoro, insomma il mondo intero nell’illusione di annientare definitivamente con essi i conflitti che la tormentavano.
E’ la ricerca ostinata della felicitò che risulta ingannevole. Desiderabile eppure sfuggente questa felicitò non è mai posseduta definitivamente: ci vorrà sempre dell’altro, ci vorrà altra rincorsa, altra fatica o, forse, altra furia omicida? In questo senso la ricerca della felicità può essere una faccenda molto pericolosa. Anche la fuga dal dolore di vivere produce le sue vittime, non solo in chi fugge quando si arriva al suicidio, ma anche in chi vive accanto e che può trovarsi coinvolto, suo malgrado, in percorsi emotivi fatti di abbandoni e tradimenti. Ricerca spasmodica della felicità, rincorsa di qualsiasi piacere e fuga dal dolore sono tutte scelte che possono produrre vittime attorno a chi le compie allora forse, distogliere lo sguardo ipnotico dal proprio interesse per volgerlo verso chi ci circonda ci permette, salvando gli altri, di salvare noi stessi. Capirlo è un percorso di saggezza che porta ad una altra felicità, una felicità amica e come tale libera di andarsene e tornare, a proprio piacimento, per farci una sorpresa. Senza questa meraviglia la vita perde ogni incanto e ogni felicità sembra solo inganno. Se non potessimo raccontarci le nostre storie tutto questo non lo potremmo conoscere perchè, senza la nostre storie, parole come ‘piacere’, ‘felicità’ o ‘assenza di dolore’ nella nostra vita non troverebbero un senso e potrebbero solo intossicarci.
Intossicarci come con le droghe che meglio di ogni altro o altra illudono magnificamente la vita ma che peggio delle puttane si incollano sulle spalle di qualcuno e non se ne vanno più.