Gli editoriali

a cura del prof. Montefrancesco

La psichiatria e le dipendenze patologiche

Riporto parte di quanto ha dichiarato il dott. Steve Koh in una intervista rilasciata alla giornalista Bret S. Stetka per Medscape.
Il dott. Koh è stato il responsabile del comitato scientifico dell’APA (Associazione Americana di Psichiatria) per il meeting 2016.

Le domande riguardavano i punti principali del meeting appena terminato e le tendenze generali della psichiatria.
………Il secondo argomento di particolare importanza, quest’anno, è stato l’abuso di droghe. Ci sono state tante discussioni relative all’uso di oppiacei, ai cannabinoidi sintetici, alla marijuana, nicotina, GHB, ketamina e altre sostanze. Rispetto ai precedenti incontri l’abuso di sostanze è diventato una parte molto importante e soprattutto i colleghi hanno discusso, diversamente dalle altre volte, di come alcune di queste sostanze potevano essere terapeuticamente utili pur non essendo un bene per i nostri pazienti. La ketamina è un esempio perfetto. Si tratta di una sostanza vietata ma la gente la usa a scopo ricreativo. Allo stesso tempo ci sono molte evidenze che la ketamina è abbastanza efficace nella depressione acuta e in caso di tentativi di suicidio e, tra l’altro, funziona molto velocemente. C’è quindi notevole interesse per come integrare alcune di queste sostanze in senso terapeutico.

Un commento alle parole del dott. S. Koh. Innanzi tutto si riafferma l’interesse da parte della psichiatria statunitense verso il tema della tossicodipendenza (attenzione sempre presente in realtà) a differenza di quanto accade in Italia dove la separazione tra i Servizi per le Tossicodipendenze (SerT) e la Psichiatria è stata sempre molto marcata. Questa situazione che perdura da diverso tempo oramai ha fatto gran danni perchè da una parte i SerT hanno costretto sè stessi in un prevalente servizio di distribuzione (dico prevalente non esclusivo) mentre la psichiatria sembrava non cogliere la vastità del fenomeno e le profonde implicazioni di questo in tanti casi clinici di sua pertinenza. Il quadro pare cambiare comunque e per varie ragioni. I responsabili dei servizi per le tossicodipendenze, per sopraggiunta età, lasciano il posto a nuove figure che per generazione hanno avuto modo di studiare più approfonditamente la disciplina delle dipendenze introdotta dalle università nel corso di studi della facoltà di medicina. L’espansione d’uso di sostanze è divenuta vastissima e spesso anche senza avviare un vero e proprio stato sintomatologico di malattia. Si consuma perchè si partecipa ad una modalità di comportamento che può avere limiti temporali. Pur tuttavia anche la prevalente occasionalità può trasformarsi in ordinarietà e quindi in grave dipendenza con possibili implicazioni psichiatriche. Non di meno, l’uso occasionale può aggravare o scoprire situazioni latenti per azione delle sostanze stesse. Le dipendenze patologiche sono interessate inoltre da comportamenti come il gioco d’azzardo o la dipendenza da internet o dal sesso, noti e visibili a tutti, che possono non includere la presenza di droghe, almeno in parte o per un certo tempo, ma non escludono quasi mai disturbi di personalità. In linea generale i pazienti dei SerT presentano sempre di più, in una specie di selezione tra la popolazione, comorbidità e tra loro è frequente la presenza di depressione, ansia, disturbi bipolari o psicosi. Le stesse droghe altresì possono produrre situazioni simili, nella cornice di una destabilizzazione complessiva e profonda delle funzioni cerebrali. Infine, la popolazione attualmente pare spinta, in modo subdolo e pervasivo, a consumare rituali di indispensabilità(ovvero di dipendenza ) al di fuori della presenza o meno di sostanze. In altri termini gran parte degli individui consumano in molte occasione della loro quotidianità, comportamenti che testimoniano più o meno esplicitamente di fragilità che abbisognano di studi approfonditi e dell’acume professionale degli psichiatri, degli operatori dei SerT, assistenti sociali, psicologi ed altri. Faccio riferimento alla comunicazione mediata, ai social, al cibo, al rapporto con gli animali, all’ossessione del fisico, all’ossessione di partecipare ai simboli correnti del benessere e della realizzazione, i più vari e qualunque essi siano. In sostanza abbiamo bisogno di tutti e di certo degli psichiatri. Non per altro per cercare di comprendere gli sconfinamenti dalla normalità (?), comunque i cambiamenti, le tendenze, i possibili interventi preventivi. Un cenno alle sostanze. Le sostanze che vengono utilizzate per fini ricreativi (posto che l’obiettivo dell’uso sia solo questo) hanno avuto sempre una connotazione e un giudizio assolutamente negativo. Giudizio che riguardava il consumatore e la sostanza impiegata. Il problema è che a tale proposito, ad esempio, la marijuana (o meglio la cannabis e i suoi componenti) ha dovuto subire per molto tempo l’impossibilità di studi scientifici che potessero realmente dimostrare la sua convenienza terapeutica in varie patologie. Moltissimi consumatori della cannabis hanno dovuto subire e subiscono tuttora i rigori punitivi della legge malgrado l’evidenza della loro ragione d’uso, ovvero uno stato di malattia. Allora i consumatori o sono viziosi con il pallino dello sballo o, se malati, sono costretti ad una clandestinità terapeutica che tra l’altro ha dato vita ad una serie di racconti fantastici attorno alle virtù straordinarie della pianta. Alla fine buona un pò per tutto. E questo ovviamente non può essere vero. Se pure è certo che la sostanza non fa gran male (fatto salva la dose e la concentrazione del principio entro certi limiti, altrimenti la pericolosità si presenta tutta) vanno in ogni caso stabilite con rigore le sue oggettive possibilità curative. Non è possibile somministrare qualsiasi tipo di sostanza (farmaco) senza un normale, usuale percorso di studio e prove connesse. Nel campo delle opportunità ovvero della dignità farmacologica-terapeutica vanno annoverati taluni allucinogeni che hanno mostrato efficacia in stati depressivi gravi e non rispondenti; gli oppiacei tra le possibilità (ultime) in questo stesso tipo di circostanza o le amfetamine in quei casi clinici in cui necessità una maggiore e rapida concentrazione di dopamina. Il problema di fondo, a mio giudizio, è l’apertura mentale e la doverosità sia nei riguardi della sostanza che del consumatore. Ogni sostanza, ogni farmaco devono essere sempre considerati con una doppia valenza, con un atteggiamento più laico, più saggio e meno moralistico. Tutto è doppio ma in questa doppiezza vi sono le dannazioni di cui dobbiamo dire con coraggio e le opportunità che vanno esplorate. L’ eroina (che pare non servire terapeuticamente a niente) deriva dalla morfina, la morfina ha fatto dono all’umanità del controllo del dolore, molti antidepressivi ragionano come la cocaina e le amfetamine e gli allucinogeni, come detto, potrebbero servire. La farmacologia quindi non appartiene a nessuno ma serve all’umanità. Infine al consumatore, sia frequente che occasionale, dobbiamo accostare al suo libero arbitrio una informazione costante e moderna, indispensabili interventi terapeutici e politiche non ambigue. Se possibile, perché anche l’ambiguità è parte della complessità dell’umano quindi, forse, necessaria. Al cittadino assicurare una prevenzione che consenta davvero di sapere, in grado di ridurre le gravi conseguenze d’uso e renda edotta la sua libera decisionalità.
giuseppe montefrancesco