Gli editoriali

a cura del prof. Montefrancesco

MODIFICARE il CODICE GENETICO….è accettabile ingegnerizzare i bambini introducendo cambiamenti genetici ?

Reagendo all’annuncio dello scienziato cinese He Jiankui che nel novembre ha sostenuto che siano nate due gemelle con modificazioni genetiche da lui effettuate, gli scienziati stanno urgentemente cercando di stabilire standard internazionali per la modificazione genetica di esseri umani. Nel chiedere standard per tali interventi (modificazioni genomiche con il sistema CRISPR), è stata tuttavia trascurata una domanda cruciale che manca ancora di risposta: se, cioè, è (o può essere) accettabile ingegnerizzare i bambini introducendo cambiamenti genetici che passerebbero alla loro prole. Questa domanda non appartiene all’ambito scientifico, ma è, piuttosto, da allargare a tuttal’umanità. Noi non abbiamo ancora capito se rendere ereditabili alterazioni genetiche indotte avrà effetti sui fondamenti delle nostre relazioni: genitori verso i propri figli, medici verso i pazienti, stato verso il cittadino e società nel suo complesso verso i suoi propri singoli membri. Nel 2015, una dozzina tra bioeticisti e scienziati hanno organizzato un primo Vertice Internazionale sul consenso all’editing genico nell’uomo. In quella sede, è stato detto che appariva irresponsabile procedere con alterazioni genetiche umane ereditabili a meno di soddisfare due condizioni fondamentali: la prima, quella di una dimostrata sicurezza ed efficacia, la seconda, di un ampio consenso sociale sull’adeguatezza del procedere in tal senso. Eppure, dopo poco più di tre anni, i partecipanti a quel vertice sembrano aver abbandonato l’impegno relativamente alla necessità del consenso sociale (vedi go.nature.com/2rowv3g), e quindi della necessità di assicurarsi che l’agenda scientifica sia informato dalla più ampia comunità umana. Spostando il tema delle modificazioni genomiche nell’ambito della clinica della fertilità, gli scienziati stanno esprimendo un giudizio sbagliato: in pratica, stanno dicendo che He Jiankui ha sbagliato non per quanto che ha fatto, ma per come lo ha fatto. Il vero problema, invece, è che lo scienziato cinese, facendo ciò che ha fatto, si è appropriato di una responsabilità decisionale che invece appartiene a tutti noi. Gli scienziati ora rischiano di ripetere lo stesso errore. Per procedere in modo adeguato, la scienza non dovrebbe avere l’arroganza di stabilire il punto di arrivo per una tecnologia, ma piuttosto dovrebbe seguire la direzione che noi, le persone, le forniamo. La Scienza è – deve essere – al servizio delle società di cui fa parte. Deviare da questo principio danneggia sia la scienza che lo stesso futuro umano, un futuro che deve attingere alle diverse tradizioni di pensiero, alle leggi, alle teorie politiche, alle scienze umane, all’arte, le religioni e in generale alla ricchezza dell’esperienza umana. Eppure i maggiori scienziati stanno cercando di disimpegnarsi da questo per autoregolarsi, invocando, come precedente, ancora una volta, la Conferenza di Asilomar del 1975 sul DNA ricombinante Questa, tuttavia, non è una buona storia né un esempio di buona governance. Ad Asilomar, gli scienziati risolsero una questione di interesse pubblico senza coinvolgere il pubblico. Come aveva osservato il senatore americano Edward Kennedy: “Stavano facendo politica pubblica e la stavano facendo in privato”. Ciò ha permesso alla ricerca di procedere, pagandola al prezzo della perdita di fiducia del pubblico.Quattro decenni dopo, dobbiamo scegliere un percorso diverso. La posta in gioco và oltre il futuro dell’editing genomico o delle cure per le malattie genetiche. In ballo ci sono i modi in cui noi, come comunità umana, guidiamo e governiamo il nostro futuro tecnologico. Alcuni suggeriscono che la governance a riguardo dovrebbe essere lasciata alla regolamentazione nazionale ed al mercato. Questo consentirebbe ai paesi di gestirne gli effetti all’interno dei propri confini, negando all’umanità un ruolo nel giudicare quale futuro dovrebbero avere gli esseri umani nel loro insieme. I 29 paesi Europei che hanno ratificato la Convenzione di Oviedo del 1997 hanno da tempo affermato che rendere ereditabili le modifiche genetiche alle persone viola i diritti umani e la dignità. In confronto, i pur esistenti problemi del turismo riproduttivo, dalla vendita di ovuli o della maternità surrogata, sembrano essere di minore impatto. La polemica intorno agli esperimenti di He ha creato un’opportunità di discussione e l’urgente necessità di innovazione nella governance globale della scienza e della tecnologia. Progressi verso un consenso su questi temi richiederanno ampio accordo su ciò che deve essere discusso, e in quali termini. Valutazione scientifica di sicurezza ed efficacia? Autonomia dei pazienti? Dignità umana? Questi argomenti, a loro volta, richiederanno l’elaborazione di moduli intermedi di consenso, su ciò che è in gioco e chi delle diverse parti è interessato; quali sono le domande e come queste vanno poste. Con i miei colleghi Sheila Jasanoff e Krishanu Saha stiamo portando avanti un piccolo esperimento, un osservatorio globale per condurre questi dibattiti attraverso discipline, culture e nazioni differenti (vedi S. Jasanoff et al. Nature 555, 435-437; 2018). Queste discussioni possono migliorare la governance sull’editing del genoma, ma possono fare anche di più. Possono rafforzare il legame di fiducia tra la scienza e altre istituzioni di governance ed aiutare a sentirci una comunità umana, immaginando il futuro tecnologico cui noi, come collettività, desideriamo dare il benvenuto o che vogliamo evitare. Immaginare questi futuri impone di riconoscere i modelli del passato. Nel 1958, la filosofa Hannah Arendt era preoccupata che le nostre tecnologie avrebbero potuto lasciarci “incapaci di capire, cioè di pensare e parlare di cose che, tuttavia, siamo in grado di fare “. La comprensione, notava, è una questione di politica: si tratta di diventare una società che è in grado di ‘pensare e parlare’ insieme del proprio comune futuro. Era audace immaginare un tale modo di fare politica nel periodo tremendo del dopo Auschwitz e quando la bomba atomica – straordinario prodotto del genio scientifico – minacciava di estinguere la civiltà. Anche questo è un momento che richiede un pensiero radicale. Non dobbiamo lasciare il duro ma virtuoso lavoro di imparare a pensare e parlare come comunità umana, rimpiazzandolo con un impulso a distribuire tecnologie a prescindere. Se lo facciamo, gravi danni potrebbe venire da queste potenti nuove tecniche che siamo già in grado di agire ma ancora di non comprendere. J. Benjamin Hurlbut* (Nature. 1 0 Jan 2 0 1 9 | Vol 5 6 5 n.1 3 5) * professore associato di “biologia e società” alla Arizona State University di Tempe. Alfredo Orrico Genetista