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dott. Giuseppe Montefrancesco

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Dott. Giuseppe Montefrancesco

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La pre-stutturazione patologica dell’abuso

L’assunzione di droghe può iniziare come una scelta volontaria finalizzata ad ottenere piacere, ma una volta dipendente, l’individuo è costretto a tale scelta anche di fronte alle conosciute conseguenze negative. Come quasi tutte le vicende umane, accade comunque che la dipendenza ha un tempo per esprimersi completamente e tra l’altro non è detto che avvicinarsi alle sostanze significhi inesorabilmente diventarne dipendente. Anzi nella maggior parte dei casi il soggetto se ne allontana dopo qualche episodio.

Vi sono altri però che, per disparate ragioni, invece proseguono il percorso e rivelano gli esiti quando lo stato patologico è palese….
All’interno di questo periodo, di incerto risultato, appare di particolare importanza il tempo che precede l’ingresso eventuale ad una piena fase di malattia cronica ovvero il periodo individuato come di pre-strutturazione patologica.
Tale periodo è di estrema fragilità e perdura per un tempo troppo lungo mentre il soggetto continua ad utilizzare sostanze; in più, egli non sa a chi rivolgersi ed ha paura di manifestare il suo problema ed è pericolosamente privo di supporto assistenziale. Inoltre, ed infine, non abbiamo modo di raggiungerlo se non quando egli diviene inevitabilmente paziente.

Di questo stesso periodo e concetto hanno discusso eminenti studiosi, quali  McLellan, PhD1; George F. Koob e Nora D. Volkow, in un articolo apparso su Jama Psychiatry nel luglio del 2022.
Gli stessi, al pari di quanto accade nel diabete dove sono accettati e previsti interventi nella fase iniziale della malattia, ovvero nel cosiddetto prediabete, ritengono necessario sviluppare un identico approccio strategico in modo da aumentare la frequenza di provvedimenti nelle fasi lievi o moderate della dipendenza patologica.

In sostanza il termine di “pre-dipendenza” potrebbe sostituire quello di uso lieve o moderato e divenire una vera e propria definizione operativa.

E’ chiaro che tale strategia, proprio perché il paziente tende a nascondersi o perché preferisce ancora sperimentare il suo abuso, deve prevedere un approccio diverso dal normale.
Intendo dire che, se ordinariamente, è il paziente a rivolgersi ad una struttura o a richiedere aiuto quando sente lo stato di necessità (spesso in fase avanzata della sua patologia), al contrario, in questa fase di pre-strutturazione deve essere la struttura a pensare di avvicinarsi al potenziale paziente o di fare in modo che quest’ultimo si avvicini senza avvertire il disagio di essere qualificato clinicamente.
Il che, come tante volte detto, significa adottare metodologie preventive ovvero “costruire” edifici non per il trattamento, ma dove l’individuo possa rivolgersi per chiedere informazioni, aiuto, indirizzi utili etc.. come se dovesse “informarsi” per un altro. Nei primi contatti succede proprio così. Tutto in forma certamente anonima e discreta, ma soprattutto senza far sentire il peso di essere inesorabilmente paziente anche se, molto spesso, le condizioni possono essere già di vera pericolosità.

Infine, tale approccio strategico, per un suo possibile successo, deve avere un profilo prettamente culturale dove l’informazione è alternativa, dove l’individuo non è giudicato moralmente, dove la “società” si assume, almeno in parte, la responsabilità di favorire rituali di dipendenza.

g. montefrancesco