Genetica e dipendenza?

dott. Giuseppe Montefrancesco

Responsabile del sito
Dott. Giuseppe Montefrancesco

VAI a tutte le DIPENDENZE

Una condizione di dipendenza può essere geneticamente determinata?

La maggiore o minore suscettibilità all’abuso di sostanze ed allo sviluppo di dipendenza (agli oppiacei, alla cocaina, al tabacco, all’alcol) può riconoscere una influenza genetica.
Non si tratta però di determinismo imputabile a singoli geni ma, piuttosto, il risultato della interazione di differenti geni,
di predisposizione che, insieme a fattori ambientali, possono comporre una condizione biologica che definiamo di “suscettibilità”.
Si tratta di un meccanismo comune ai cosiddetti “tratti complessi”: caratteri come peso, altezza, tratti psicologici, pressione arteriosa che sono influenzati sia dalla genetica sia da fattori ambientali.
L’accresciuta capacità tecnica ha permesso negli ultimi anni
di esaminare geneticamente grandi popolazioni e ha
consentito di identificare geni e associare varianti di questi (alleli) al maggiore o minore rischio allo sviluppo di comportamenti patologici, compresa la genesi e la persistenza della dipendenza.

Possedere fattori genetici di dipendenza significa essere inesorabilmente legati a determinati comportamenti?

No. Una suscettibilità genetica, alla dipendenza come ad altri comportamenti e/o a condizioni multifattoriali (i cosiddetti “tratti complessi”), non significa ineluttabilità.
I fattori genetici possono rendere più o meno semplice sviluppare determinati comportamenti e/o rendere difficile il loro abbandono.
L’interazione con l’ambiente è sempre però presente, diluisce il determinismo biologico e restituisce le chiavi alla volontà individuale.
La maggiore o minore presenza di fattori genetici di predisposizione andrebbe vista, quando sarà possibile effettuare in modo più o meno routinario accertamenti specifici, in termini di autocoscienza di limiti individuali, come la tendenza all’ipertensione arteriosa o al soprappeso, per scegliere comportamenti adeguati.

Se la genetica può predisporre alla dipendenza, può la dipendenza alterare la genetica?
Si potrebbe rispondere sbrigativamente di no, perché i fattori genetici risultano alterati o alterabili da eventi casuali che provocano mutazioni e possono essere ereditati solo se questi eventi si verificano nelle cellule germinali.
La vita di relazione, nella complessità dell’esposizione ad eventi mutageni, certamente porta ad accumulare mutazioni che, tuttavia, sono del tutto casuali e non correlano con comportamenti complessi come le dipendenze.

Tuttavia, si deve sottolineare come stiano recentemente emergendo dei meccanismi di modulazione dell’espressione dei geni da parte di stimoli esogeni (epigenetica). In parole semplici, fattori esterni, come la protratta stimolazione vie metaboliche con farmaci può portare alla stabilizzazione di alcune vie biochimiche piuttosto di altre, favorendo l’espressione di alcuni geni e non di altri.

In ultima istanza, i comportamenti non possono cambiare il patrimonio genetico ma possono modularlo, portando all’espressione di una biochimica, e, in ultima analisi,
di comportamenti, che, in assenza di quello stimolo, si sarebbero sviluppati in altro modo.

E’ possibile fare delle indagini per capire se una persona è suscettibile alle dipendenze?

E’ noto che il bersaglio di farmaci che creano dipendenza sono numerosi. Tra questi, è ben caratterizzata l’interferenza con le vie della trasmissione nervosa mediate dalla dopamina, dall’acido gamma amino butirrico (GABA), dal glutammato, dall’acetilcolina.
Per quanto siano numerosi i progressi, siamo però nel campo della ricerca e non è possibile andare in un laboratorio e chiedere di sapere se siamo più o meno suscettibili.

Conoscere le basi molecolari della dipendenza permette di sviluppare farmaci che la contrastino?

Si tratta, evidentemente, della speranza della ricerca; sviluppare farmaci “intelligenti”, disegnati cioè sulla base delle conoscenze approfondite della biochimica molecolare.
Si cercherebbe, ad esempio, di bloccare o invertire i meccanismi che innescano le variazioni dei comportamenti, dall’uso “ricreazionale” a quello compulsivo e cronicamente alla dipendenza.
Farmaci di questo tipo, tuttavia, per quanto in sperimentazione (ad es. gli inibitori delle deacetilasi degli istoni) sono ancora lontani da un loro uso clinico.

LE STORIE

LE DOMANDE

I VIDEO