Doping-review

dott. Giuseppe Montefrancesco

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 Il doping

dott. Marco Rossi  farmacista

Un po’ di storia
L’assunzione di sostanze farmacologicamente attive con lo scopo di migliorare le prestazioni muscolari è una pratica utilizzata da millenni: è noto, ad esempio, come gli Inca masticassero foglie di coca per sostenere i lavori più faticosi e come alcuni guerrieri antichi facessero uso di funghi allucinogeni prima di andare in battaglia. Nella cultura occidentale la pratica di aumentare le prestazioni atletiche con mezzi non fisiologici inizia con le Olimpiadi (776 a.C.- 393 d.C.). Celebri autori antichi, come Ippocrate, Galeno e Plinio il Vecchio riportano l’uso di erbe, di funghi e di testicoli di toro per aumentare la forza tra gli atleti greci e romani. La caduta dell’Impero Romano determina la fine dei giochi sportivi per molti secoli.
E’ con la reintroduzione delle moderne Olimpiadi nel 1896 che si assiste alla ripresa della pratica del doping. In quel periodo vengono utilizzate stricnina, caffeina e cocaina come stimolanti negli sport di durata. Ai Giochi di Saint Louis del 1904 l’americano Thomas Hicks viene colto da un grave malore dopo aver vinto la maratona, perché il suo allenatore lo ha “aiutato” durante la corsa con iniezioni di solfato di stricnina. Sul finire degli anni Venti l’International Association of Athletics Federations (IAAF) è la prima federazione sportiva a mettere al bando il doping.
La purificazione dell’efedrina e la sintesi delle amfetamine negli anni Trenta porta alla diffusione del doping farmacologico su larga scala. Usate nelle Olimpiadi di Berlino del 1936 dagli atleti nazisti, tutte le forze armate ne fanno massiccio impiego nella seconda guerra mondiale. Nel dopoguerra la pratica di assumere amfetamine si trasferisce dai militari impegnati sui fronti di guerra agli sportivi. Negli anni Sessanta una campagna antidoping della Federazione ciclistica denuncia una condizione allarmante: ben il 50% dei ciclisti sottoposti ad esame risultano positivi, soprattutto alle amfetamine. Tuttavia è solamente a seguito del decesso del ciclista Tommy Simpson il 13 luglio 1967 sul Mont Ventoux, causato dall’effetto additivo delle amfetamine e del grande caldo, che il problema del doping giunge all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale.
Anche il mondo del calcio non pare esserne immune. Agli inizi degli anni Sessanta, infatti, un’inchiesta della Federcalcio rivela che il 22% dei calciatori italiani fa uso di sostanze stimolanti e tra questi circa l’80% assume amfetamine. Nel 1968 il calciatore francese Jean-Louis Quadri muore per aver fatto uso di amfetamine.
La successiva adozione dei controlli per i derivati amfetaminici sposta la pratica del doping verso altre sostanze. Nel 1935 era stato isolato il testosterone, mentre è della fine degli anni Cinquanta la sintesi dei primi steroidi anabolizzanti che iniziano presto ad essere assunti da sollevatori di pesi e dai culturisti. La vasta disponibilità di questi farmaci su scala mondiale è seguita, alla fine degli anni Settanta, dalla grande diffusione del doping tra gli atleti di alto livello. Già da molti anni, per scopi di propaganda politica i paesi del blocco comunista, soprattutto URSS e Gemania Est, avevano organizzato scientificamente e sistematicamente la somministrazione di steroidi anabolizzanti agli atleti di vertice. Per vincere le competizioni più importanti erano costretti ad assumerli fin da piccoli senza conoscerne i gravi effetti per la salute. Dopo la caduta del muro di Berlino (1989), le autorità della Germania unificata scoprono gli schedari con i nomi di oltre 10.000 atleti della Germania dell’Est che avevano ricevuto sostanze dopanti come parte di un piano governativo segreto. Alcuni record femminili dell’atletica leggera tuttora imbattuti sono stati stabiliti da quelle atlete, molte delle quali con evidenti fenomeni di virilizzazione causati dagli steroidi. L’introduzione dei controlli per gli anabolizzanti in tutte le grandi competizioni porta alla luce casi celebri, come quello di Ben Johnson, squalificato dopo la vittoria nei 100 metri alle Olimpiadi di Seul del 1988 per uso di stanozololo. Gli atleti trovati positivi rappresentano, comunque, la punta di un iceberg rispetto alla diffusione di queste sostanze negli anni Ottanta.
In quegli anni l’assunzione di steroidi anabolizzanti che ha da sempre accompagnato il culturismo, si diffonde molto nelle palestre, che diventando sempre più numerose e più frequentate da tanti giovani alla ricerca di corpi ipermuscolosi.
Intanto un altro ormone si afferma nel mondo del doping: l’ormone della crescita (Growth Hormone,GH). Il GH rappresenta un valido sostituto degli steroidi anabolizzanti in quanto anch’esso stimola l’aumento della massa muscolare ed non esiste un test in grado di rilevarne l’uso.
Negli sport di resistenza (o aerobici) ci si rivolge a sostanze e a metodiche capaci di aumentare le prestazioni potenziando la capacità di trasporto dell’ossigeno del sangue. Negli anni Settanta viene introdotta, tra i fondisti dello sci e dell’atletica e tra i ciclisti, la pratica dell’autoemotrasfusione. Tale pratica consiste nel prelievo di sacche di sangue durante i periodi di riposo, poi conservate e trasfuse durante i periodi di attività agonistica. L’autoemotrasfusione è successivamente vietata, ma nel 1985 entra in commercio l’eritropoietina umana (EPO) sintetica. La somministrazione di EPO diventa in breve una pratica generalizzata nella corsa e nello sci di fondo, ma soprattutto nel ciclismo, con le vicende clamorose dei Tour de France del 1998 e del 1999 ed il caso Pantani.
Numerose sono le inchieste che riguardano il mondo del ciclismo. Nel 2004 il ciclista professionista spagnolo Jesus Manzano dichiara alla stampa ed alla magistratura che in una sola giornata poteva assumere anche dieci – dodici farmaci diversi (GH, steroidi anabolizzanti, beta2-agonisti, EPO, ferro, vitamine, caffeina, cortisone) oltre ad essere sottoposto ad autoemotrasfusione.
Negli ultimi dieci anni vi sono stati casi clamorosi anche negli Stati Uniti. Nel 2002 il presidente Bush, nel discorso sullo Stato dell’Unione, parla del doping come di un grande problema sociale su cui è necessario intervenire. Il fenomeno si è diffuso in modo preoccupante nelle grandi leghe professionistiche di football
americano, baseball e basket. Una lunga inchiesta parlamentare sulla Major League di baseball ha portato alla luce un uso esteso di steroidi da parte di molti famosi giocatori, come Mark McGwire, ex recordman dei fuoricampo in una stagione. L’ex campione di football Lyle Alzado, morto a 43 anni per un tumore al cervello, ha ammesso l’uso di steroidi e GH. Ma a sconvolgere lo sport Usa alla fine del 2003 è il caso della società Balco. Si scopre che uno steroide anabolizzante, il tetraidrogerstrinone o Thg, creato nei suoi laboratori per eludere i controlli, era stato assunto da numerosi atleti statunitensi, tra cui l’ ex primatista dei 100metri Tim Montgomery e la pluricampionessa olimpica Marion Jones costretta a restituire le medaglie di Sidney 2000.
Nel tentativo di eludere i controlli antidoping il futuro più inquietante, che forse è già presente, è rappresentato dal doping genetico, cioè dal miglioramento della performance sportiva attraverso la manipolazione di geni che possano, ad esempio, aumentare la crescita muscolare o stimolare la produzione di EPO. Da decenni è noto che le differenze genetiche esistenti tra gli atleti possono aumentare le capacità prestazionali. Lo sciatore di fondo finlandese Eero Màntyranta, doppia medaglia d’oro alle Olimpiadi invernali del 1964, aveva una mutazione genetica a livello dei recettori dell’EPO e questa aumentava del 25\50% la capacità di trasporto di ossigeno del suo sangue. Questa condizione a potrebbe essere riprodotta con metodiche di ingegneria genetica e non sarà facile mettere a punto tecniche adatte a rilevare questo abuso. Il rovescio della medaglia è che i rischi inerenti a questa condizione rimarrebbero tutti presenti, così come è stato successivamente documentato per lo sciatore ed i suoi familiari colpiti da malattie cerebrovascolari. Ad oggi una terapia genica per l’anemia che induce il rilascio controllato di EPO attraverso una semplice iniezione è stata già brevettata….

La lotta al doping

Storicamente la lotta al doping si è sempre trovata un passo indietro rispetto ai progressi delle pratiche dopanti. Mentre nei laboratori si cercavano le tracce lasciate dagli steroidi anabolizzanti, c’era già chi era passato all’EPO o al GH. Di solito i “maghi” del doping sono molto attenti alle nuove scoperte delle farmacologia: nel mondo del body building agonistico l’uso del fattore di crescita insulino-simile di tipo 1 (IGF-1, Insulin Like Growth Factor-1) ha anticipato di molti anni il suo utilizzo in terapia.
Il primo paese che si è dotato di una legge in materia di doping è stata la Francia nel 1965. Nel corso degli anni Sessanta anche i controlli antidoping fanno il loro esordio nelle più importanti competizioni sportive internazionali. Nel 1966 è la volta dei Campionati mondiali di calcio in Inghilterra e dei Mondiali di ciclismo in Germania, mentre nel 1967, il CIO stila per la prima volta la lista delle sostanze considerate doping. L’anno successivo i controlli antidoping sono inseriti nelle manifestazioni olimpiche di Grenoble e Città del Messico. Manca ancora, tuttavia, un metodo per scoprire l’impiego di steroidi anabolizzanti, entrati nella lista delle sostanze proibite dal CIO a partire dal 1974. Il test arriva Montreal due anni più tardi e si assiste ad una crescita del numero degli sportivi positivi (su 11 ben 9 associati all’uso di anabolizzanti). In quel periodo un atleta poteva sperare di superare indenne i controlli sospendendo gli steroidi 15 giorni prima della gara o assumendo sostanze mascheranti come i diuretici o il probenecid, che non li fanno trovare nelle urine.
La scoperta durante il Tour de France del 1998 di una grandissima quantità di sostanze vietate usate dai ciclisti suscita grande clamore in tutto il mondo. La constatazione che il fenomeno è ormai globale induce molte nazioni ad affrontare questo grande problema in maniera coordinata. È allora che il CIO prende l’iniziativa di convocare la Conferenza Mondiale sul Doping nello Sport, svoltasi a Losanna nel febbraio del 1999 durante la quale nasce l’idea di affidare ad un organizzazione internazionale il controllo e il potere di emanare normative in materia di doping.
Il 10 novembre dello stesso anno viene istituita l’Agenzia Mondiale Antidoping (WADA, World AntiDoping Agency), frutto della collaborazione di tutto il movimento olimpico mondiale con i governi di 80 Stati. Nel marzo 2003 a Copenaghen viene sottoscritto il Codice Mondiale Antidoping, primo strumento internazionale che mira ad armonizzare a livello globale le regole relative alla lotta al doping in tutti gli sport, definendo, tra l’altro, un uguale trattamento sanzionatorio: due anni di squalifica al primo episodio e radiazione a vita dalle federazioni al secondo. Nel 2005 la Conferenza Generale dell’UNESCO, approvando all’unanimità la Convenzione internazionale contro il Doping nello Sport legittima giuridicamente la WADA e il Codice Mondiale Antidoping, e promuove la cooperazione tra Stati, movimenti e organizzazioni sportive nazionali ed internazionali nella realizzazione di controlli antidoping e di programmi di educazione, informazione e ricerca.
I test antidoping vengono attualmente effettuati in 34 laboratori accreditati dalla WADA che possono avvalersi di apparecchiature della massima precisione e sensibilità come la spettrometria di massa, grazie alla quale è ora possibile, ad esempio, distinguere il testosterone esogeno (assunto con i farmaci) da quello endogeno (normalmente prodotto dall’organismo). Sono state sviluppati metodi di rilevamento anche per sostanze ritenute fino a pochi anni fa introvabili come l’EPO ed il GH. Un test per il GH è stato introdotto per la prima volta nelle Olimpiadi di Atene del 2004 ed una nuova metodo è sul punto di essere adottato per migliorare la sensibilità del test già in uso. Per quanto riguarda l’EPO, i cui test sono iniziati nel 2000, i controlli antidoping si avvalgono sia di metodi indiretti (marker di aumentata eritropoiesi) che diretti (analisi che differenziano tra EPO esogena ed endogena).
Alle Olimpiadi di Pechino 2008 sono stati eseguiti oltre 5.000 i controlli antidoping (al termine delle competizioni, ma anche prima): 7 gli atleti sottoposti ai test per ogni prova (i primi 5 classificati più 2 sorteggiati), 6 gli atleti fermati per doping nel corso della manifestazione : 4 donne (1 ciclista, 1 eptatleta, 1 sprinter, 1 ginnasta) e 2 uomini (1 pesista, 1 tiratore).
Accanto alle procedure di indagine e ricerca dei casi di doping la WADA si adopera diffusamente nella sensibilizzazione di tutti gli sportivi sui problemi dell’uso e dell’abuso delle sostanze proibite elencate nelle sue liste.

In Italia con la già citata legge n° 376 del 2000 il doping è diventato un reato: è punibile sia l’atleta che fa uso di sostanze dopanti, sia il medico che le prescrive o somministra, sia chi fa commercio dei farmaci vietati. Le pene vanno da 3 mesi a 3 anni, con sanzioni pecuniarie che possono arrivare a 77 mila euro.
Dall’entrata in vigore della legge i controlli antidoping promossi dal CONI sul territorio nazionale si sono inaspriti, sebbene permanga una notevole eterogeneità nell’applicazione del protocollo antidoping nell’ambito delle diverse Federazioni sportive italiane. L’attenzione dei mass-media di questi ultimi anni ha radicato la convinzione che il ciclismo sia lo sport “dopato” per eccellenza, sebbene i dati ci dicano che i ciclisti postivi ai controlli sono all’incirca l’1,5%, mentre nel rugby tale percentuale è tre volte superiore a quella del ciclismo ed anche nei piloti di sport motoristici oscilla dal 4,3% al 7%. Questo a dimostrare che nessuna disciplina sportiva può dirsi immune dal fenomeno.
Nonostante i grandi progressi realizzati negli ultimi dieci anni nella lotta al doping, esiste ancora un’enorme discrepanza tra doping ufficiale (gli atleti positivi ai controlli) e doping reale (gli atleti che fanno ricorso pratiche dopanti).
Se della lotta al doping degli sportivi di alto livello si occuperà la Wada, il consumo esasperato di farmaci nello sport amatoriale e nelle palestre dovrà essere affrontato dalle indagini giudiziarie per tutto quello che si configura come reato, ma anche e soprattutto dalla scuola e dai mezzi di informazione per far comprendere ai giovani i gravi rischi per la salute connessi all’uso dei prodotti dopanti.

Quanto è diffuso il doping?

Attualmente il mercato del doping è di tale vastità che si può solo formulare una stima approssimativa delle sue dimensioni. Ciò che preoccupa maggiormente è il crescente interesse delle organizzazioni criminali nel commercio illegale delle sostanze dopanti. Prendendo come indicatore indiretto del consumo di farmaci doping i sequestri e le indagini giudiziarie, il mercato appare in notevole crescita.
Esistono pochi studi riguardanti le dimensioni di questo fenomeno, basati principalmente sulla metodica delle interviste e, quindi, legati alla veridicità delle risposte. Tale metodologia rappresenta un grande limite nello studio di un fenomeno come il doping caratterizzato dall’omertà.
Uno studio del 1996 effettuato negli USA tra gli adolescenti riportava che almeno 375.000 ragazzi e 175.000 ragazze avevano utilizzato almeno una volta anabolizzanti.
Più recente è stato descritto un uso di steroidi anabolizzanti tra gli studenti di scuole superiori di diversi paesi europei e degli USA tra l’1 ed il 5%.
In Svezia, su 6000 soggetti di età compresa tra 16 e 17 anni, l’utilizzo di steroidi anabolizzanti da parte dei maschi è stato stimato intorno al 3%, mentre in Germania tra frequentatori di centri fitness intorno al 14%.
Dati altrettanto allarmanti si riscontrano in Canada, dove il Center for Drugs free Sport ha stimato che, nel 1993, circa 83.000 ragazzi tra gli 11 e i 18 anni hanno utilizzato steroidi.
Una ricerca che ha raccolto i dati di 29 studi epidemiologici precedenti riporta che il 15-25% di chi pratica sport a livello amatoriale fa uso di sostanze dopanti.
Si cominciano anche ad osservare su larga scala gli effetti dannosi per la salute di queste pratiche: la mortalità per patologie cardiache nel wrestling americano, dove l’abuso di steroidi anabolizzanti costituisce la regola, risulta 7 volte superiore a quella della popolazione generale degli USA e 12 volte superiore per la fascia d’età 25-40 anni.
In Italia i dati sono molto carenti. Uno studio del 1990 riportava uso di steroidi e amfetamine nel 10% degli atleti e doping ematico nel 7%.
Nel 2003, secondo Sandro Donati, membro del CONI da sempre in prima linea nella lotta al doping, in Italia si stimava che 400 mila persone facessero ricorso al doping, mentre il 15 per cento delle palestre sparse sul nostro territorio fossero luoghi di detenzione e spaccio di farmaci proibiti. Si riteneva che circa 300 mila fossero frequentatori delle palestre stesse, mentre i restanti 100 mila fossero prevalentemente sportivi amatoriali.
Da tali dati risulta chiaro che il doping è diventato nella nostra società un grande problema sociale che riguarda principalmente un vasta fascia della popolazione giovanile.

La dipendenza da doping

Il fenomeno del doping, come abbiamo visto, ha una lunga storia ed ha raggiunto dimensioni allarmanti. Se nello sport professionistico possono essere individuati grandi interessi economici che spingono gli atleti verso il doping, nella nostra società è l’enfatizzazione di modelli estetici e sociali che premiano solo le figure vincenti a favorire l’abuso di farmaci e integratori dietetici. Attualmente, poi, esiste un doping “estetico” che nasce dall’esasperazione culturale e mediatica del corpo e che porta a far uso di sostanze di ogni genere per aumentare le masse muscolari o per perdere peso, imitando stereotipi maschili o femminili proposti dal mondo dello spettacolo.
Mentre sui giornali ed in televisione trovano molto spazio i problemi di doping dei campioni che fanno notizia quando vengono trovati positivi ai controlli, scarsa attenzione viene posta alla ben più vasta popolazione di consumatori di sostanze dopanti, costituita prevalentemente da atleti amatoriali, da componenti di squadre giovanili e da frequentatori di palestre di fitness.
Per alcuni di loro l’attività sportiva si trasforma in qualcosa di diverso da un fondamentale strumento di benessere che aiuta a vivere meglio, diventa “la” vita. Quella che si viene a creare è una forma di dipendenza dall’esercizio fisico. Sollevare pesi per molte ore o fare 70 km in bicicletta tutti i giorni può divenire un comportamento di tipo compulsivo, sul quale vengono scaricate difficoltà psichiche, affettive, familiari o sociali. Da tempo si sa che patologie psichiatriche, come l’anoressia nervosa, si accompagnano con l’esercizio fisico esasperato, ma solo di recente, medici e psicologi hanno preso coscienza che, in taluni casi, l’attività sportiva esagerata può essere considerata essa stessa come una droga. Tale dipendenza si instaura oltre che per cause psicologiche, anche per ragioni fisiologiche, dato che l’esercizio fisico intenso si accompagna con la liberazione di numerose sostanze nell’organismo, tra cui le endorfine (sostanze simili alla morfina ma di origine endogena). Le attività sportive di tipo aerobico (corsa, ciclismo, nuoto, podismo) possono aumentare i livelli plasmatici di beta-endorfine di oltre 5 volte, inducendo una sensazione diffusa di benessere.
Il passo successivo che si verifica spesso tra questi individui è la ricerca di un “aiuto” per superare i proprio limiti, per dimagrire o modellare un corpo muscoloso in breve tempo. Talvolta si prendono amfetamine per non sentire la fame e la fatica di allenamenti estenuanti, diuretici e lassativi per perdere rapidamente peso o caffeina per accelerare il metabolismo. In questo “doping fai da te”, i rischi per la salute sono forse superiori a quelli che corrono gli atleti professionisti che sono comunque seguiti da equipe di medici.
Nella maggior parte dei casi fortunatamente si ricorre solo all’uso di integratori dietetici. Quando si parla di integratori alimentari ci si riferisce a sostanze naturali, presenti fisiologicamente nell’organismo e introdotte di norma con la dieta. Soltanto in caso di allenamenti o competizioni particolarmente impegnativi l’apporto alimentare può risultare insufficiente e l’integrazione può costituire, pertanto, una effettiva necessità. Secondo la normativa del Ministero della Salute (G.U. 297/02), tra gli integratori per gli sportivi, definiti “alimenti adattati ad un intenso sforzo muscolare” troviamo principalmente prodotti finalizzati alla integrazione energetica (fruttosio, maltodestrine), prodotti contenenti minerali per reintegrare le perdite idrosaline, integratori di vitamine, proteine e aminoacidi.
Ma le sostanze usate negli integratori dietetici pubblicizzati per aumentare la massa muscolare e “bruciare” i grassi sono numerosissimi e nella maggior parte dei casi di utilità scarsamente documentata a livello scientifico. Presi alle dosi consigliate non causano solitamente grossi danni, ma se ne sa spesso ancora molto poco. Prendiamo, ad esempio, la creatina. L’assunzione di dosaggi fino a 3g al giorno per periodi limitati sembra essere ben tollerata e priva di effetti dannosi per la salute. Per quello che riguarda la somministrazione cronica di dosaggi giornalieri di 20g o più, spesso utilizzati nel mondo del body-building, sono stati suggeriti diversi possibili effetti avversi, quali reazioni gastrointestinali, danni al fegato ed ai reni, crampi muscolari e infortuni muscolo-tendinei, disidratazione e influenza sull’omeostasi elettrolitica, soppressione della sintesi endogena di creatina, effetto cancerogeno per la possibile formazione di formaldeide, quale prodotto del catabolismo della creatina. E’ inoltre da non dimenticare che anche la purezza dei prodotti a base di creatina può influire sulla sua sicurezza, perchè, durante la produzione industriale, possono formarsi quantità variabili di contaminanti non ancora adeguatamente studiati.
Dall’abuso di integratori dietetici il passo verso le sostanze dopanti vere e proprie è breve, soprattutto negli atleti che partecipano a competizioni, tra i quali è opinione comune che quelli che vincono “lo fanno tutti”.

Spesso, purtroppo, il consiglio di “cattivi maestri” porta molti ad assumere farmaci dopanti, come steroidi e GH, a dosi altissime associate a quantità enormi di integratori a base di creatina, aminoacidi e proteine per aumentare l’effetto anabolizzante. Nel modo del body-building agonistico in particolare vengono usati sostanze dopanti di ogni tipo, anche farmaci destinati all’uso veterinario, a dosaggi altissimi, che non si riscontrano in nessun altra attività sportiva. Questi cocktail possono apportare gravissimi danni a molti organi ed apparati.
Al cuore, innanzitutto, che deve far fronte alle sollecitazioni richieste da enormi carichi di lavoro. L’abuso degli anabolizzanti causa aumento del colesterolo LDL, riduzione del colesterolo HDL, stimolazione della produzione di EPO ed aumenta, quindi, notevolmente il rischio di infarto del miocardio. Per quanto riguarda il fegato, un forte aumento delle transaminasi è comune in chi fa uso di steroidi, ma sono stati descritti anche casi di tumore. I tendini vengono sollecitati da muscoli abnormi e le infiammazioni croniche delle strutture legamentose, nonché le rotture tendinee che possono verificarsi sono spesso imputabili all’abuso di steroidi. I testicoli. inoltre, pagano un grave tributo al doping, poichè gli anabolizzanti svolgono una azione inibente sul trofismo testicolare che può spingersi fino all’atrofia dei tessuti, mentre nelle donne l’assunzione di anabolizzanti produce irreversibili accentuazioni delle caratteristiche somatiche maschili.
Nonostante tutti i rischi associati all’assunzione di steroidi anabolizzanti, molti atleti e bodybuilders non rinunciano alla loro utilizzazione ed è, quindi, probabile che si instauri una dipendenza da queste sostanze. La somministrazione di steroidi ad alte dosi è, infatti, legata ad una serie modificazioni dell’umore caratterizzate da euforia, aumento dell’energia e dell’aggressività (caratteristiche ricercate in molte discipline sportive) che possono essere seguite, soprattutto dopo la sospensione, da manifestazioni psichiatriche prima lievi, come irritabilità, labilità emotiva, ostilità, ansia, diminuzione della libido, poi gravi come psicosi, allucinazioni e tendenza al suicidio. Uno studio condotto su 160 atleti di cui 88 utilizzatori di steroidi anabolizzanti e 68 atleti di controllo, ha messo in luce che la maggiore differenza tra i due gruppi riguardava l’incidenza di effetti psichiatrici: il 23% degli utilizzatori mostrava infatti sintomi quali mania, ipomania e depressione che generavano problemi di interazione sociale. Un altro studio effettuato su 49 sollevatori di pesi ha evidenziato come il sintomo più comune di dipendenza da steroidi anabolizzanti sia costituto da una vera e propria sindrome di astinenza caratterizzata da astenia, depressione, irrequietezza, anoressia, insonnia e riduzione della libido. Altri sintomi da astinenza comunemente riportati sono: desiderio di assumere più steroidi anabolizzanti, insoddisfazione del proprio aspetto fisico, emicrania, idea di suicidio. Molti ricercatori ipotizzano, inoltre, che l’uso di steroidi anabolizzanti possa dar luogo ad atti di violenza di tipo criminale. Questi effetti sembrano essere dose-dipendenti e, quindi, frequenti in individui che utilizzano dosaggi di testosterone e anabolizzanti altissimi.
L’uso di steroidi anabolizzanti durante l’adolescenza è fortemente legato alle influenze dei coetanei e può dar luogo ad un deterioramento dei comportamenti sociali come avviene, ad esempio, quando gli atleti adottano comportamenti illegali per procurarsi gli steroidi.
Gli effetti sul cervello del testosterone e degli steroidi dipendono da diversi meccanismi che sembrano coinvolgere diversi neurotrasmettitori centrali. Alcuni studiosi ritengono che la dipendenza da steroidi sia determinata proprio da una loro interazione con i sistemi centrali delle endorfine, della dopamina e della serotonina. Altri dati sembrano, invece, indicare che gli utilizzatori di steroidi anabolizzanti esprimono prevalentemente un’insoddisfazione del proprio corpo e che, quindi, li assumono nel tentativo di evitare una sensazione spiacevole di inadeguatezza.
Sembra, inoltre, che il fenomeno doping si associ talvolta all’uso delle droghe vere e proprie.
Inizialmente la dipendenza da droghe e la dipendenza da sostanze dopanti percorrono strade diverse, ma talvolta sembrano condividere un destino comune, come testimonia la fine di Marco Pantani. Secondo alcuni ricercatori esiste un legame tra attività sportiva intensa, doping e tossicomania: uno studio francese riporta che in un gruppo di eroinomani il 20% aveva praticato intensamente uno sport diverse ore al giorno per almeno tre anni.
Nella nostra società, quindi, dipendenza dalle droghe classiche e doping si stanno manifestando con percorsi sempre più simili e vanno combattuti con le stesse armi.

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