Le storie

dott. Giuseppe Montefrancesco

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Dott. Giuseppe Montefrancesco

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Il cibo, il sesso, il sè, la confusione.

Il cibo, il sesso, il sè, la carnalità, la confusione

Lettera alla me ingombrante, che ingombrante non era.

Si dice che i mostri che ci abitano abbiano voglia di essere presi per mano, di essere ascoltati ancor prima di essere compresi.
Si dice che per sconfiggere alcuni di questi mostri bisogna avere tanta pazienza e forza di volontà.
Si dice tutto, ma cosa è realmente vero di tutte le chiacchere che ci sono in giro?
Probabilmente la metà.
Dico questo perché anche io sono stata abitata da un mostro, in realtà due mostri.
All’età di 12 anni, ero una bambina leggermente in carne e mi piaceva essere così.
O meglio, rispondevo di piacermi come per non dare soddisfazione agli altri.
Soddisfazione del tipo “si, hai ragione, devo perdere peso”.
Ero solo una bambina, credevo che tutto quello fosse un gioco e infatti non seguivo le indicazioni della nutrizionista.
Ho sempre odiato che qualcuno dovesse dirmi cosa fare. In questo caso, cosa mangiare.
E infatti, mi sono rovinata con le mie stesse mani.
Avevo un rapporto bellissimo con il cibo, aspettavo con ansia la domenica per gustarmi la “pasta che piccica” mentre papà accendeva lo stereo.
E invece, credetemi non me lo sarei mai aspettato, il cibo diventò il mio peggior incubo.
Non saprei dare la colpa a qualcuno, nonostante siano passati molti anni.

Avevo 14 anni appena compiuti, frequentavo il primo superiore, e pesavo 54 Kg per 1.60 cm.
Mi invaghii di un ragazzo più grande di me, ricordo che all’epoca aveva 17 anni.
Era moro, con gli occhi verde sporco, un po’ robusto e non troppo alto.
Non farò il suo nome, perché non è necessario.
Era un ragazzo strano e il fatto che non mi desse attenzioni mi spingeva a volerlo conquistare sempre di più.
E ci riuscii.
Probabilmente per una scommessa vinta con i suoi amici, mi chiese di stare insieme a lui.
Io ero così ingenua, non avevo mai avuto un ragazzo prima d’ora.
Era il 13 marzo, me lo ricordo ancora, quando i miei scoprirono di questa mia simpatia per questo ragazzo.
Non la presero bene, insinuavano che non fosse giusto per me e che io fossi solo un motivo di vanto per lui.
Io, ovviamente, non diedi loro ascolto e iniziai a frequentarlo di nascosto.
Non ci uscivo mai, lo vedevo solo a ricreazione e prima di uscire da casa.
Con il tempo, questa situazione iniziò a pesarmi.
Vedevo le mie coetanee uscire con i propri ragazzi e vedevo me sempre in casa.
Provai a convincere i miei genitori a cambiare idea su di lui, ma più se ne parlava, più venivo messa in punizione.
Niente telefono e social per un po’ di tempo.
Non so dire se fu un processo conscio o inconscio, ma iniziai a punire me stessa per la situazione in cui mi trovavo.
Iniziai a diminuire gradualmente l’apporto calorico giornaliero e questo mi faceva sentire meglio.
Ricordo ancora l’emozione nel vedere le prime perdite di peso.
La bilanci a era la mia migliore amica e ci salivo minimo 3 volte al giorno.
Non avevo la forza di cantare, di fare ginnastica a scuola, di essere me stessa.
Con il tempo persi circa 7 kg e i miei, preoccupati, mi portano in analisi dal mio primo neuropsichiatra, il quale sosteneva io non avessi nulla.
Se c’è una cosa che ho sempre odiato è la mancanza di attenzioni, lo ripeto nuovamente.
I miei, disperati per il mio continuo peggiorare, decisero momentaneamente di assecondare la mia simpatia per il ragazzo in questione.
Il patto era che io avrei mangiato in campo-scuola cosicché sarei potuta andare al 18esimo del mio ragazzo.
Tornai dal campo scuola che pesavo a malapena 46 kg, ma andai alla festa lo stesso.
Ricordo di aver indossato una camicetta blu che non nascondeva per niente le mie clavicole e una gonna bianca che mostrava le mie gambe gracili.
Ero fragile, però mi sentivo bella.
Alla festa non c’erano ragazze, se non la fidanzata del migliore amico del festeggiato, nonché una mia ex compagna di classe.
C’erano le luci verdi, la casa piena di cibo e tanta musica.
C’era una torta megagalattica e tutti i parenti che scattavano le foto più a quest’ultima che al festeggiato.
Era tutto tranquillo, finché il mio ragazzo non si avvicinò alla sedia dove ero seduta e mi disse sottovoce all’orecchio “devo farti vedere una cosa”.
Io risposi che avrei aspettato di sotto, mi aspettavo volesse darmi un regalo.
Dato che al mio compleanno non si era degnato di farmelo.
E io non ricordo mica, se glielo avessi fatto quel giorno.
Comunque, mi prese per mano e mi portò nella sua camera da letto.
Non feci in tempo a dire “allora cosa devo vedere”, che lui chiuse la porta.
E iniziò a baciarmi molto intensamente.
Quando gli chiesi nuovamente cosa dovesse mostrarmi, mi buttò sul letto.
E senza neanche spogliarmi, solamente spostando le mie mutande, abusò di me.
E si potrebbe pensare “perché non hai urlato?”, “perché non hai tirato un calcio?”.
E’ plausibile, pensarlo.
In realtà, a divincolarmi avevo provato, ma invano.
E a urlare avevo provato, ma la sua mano mi tappò la bocca neanche avessi ancora emesso fiato.
Dopo 15 minuti, mi arresi.
E io lo ammetto che mi arresi, più sentivo dolore e più stringevo i pugni.
Più stavo male e più mi bruciavano le tempie.
Ma non feci nulla, nulla per migliorare la situazione.
Si fermò, perché di sotto spensero la musica.
E senza dirmi nulla, mi disse “sei solo una bambina. Le bambine rimangono vergini.”
Proprio per non sentirmi una bambina, non so per quale processo inconscio, non mi divincolai.
Scelsi di non agire, ma questo non significa che io volevo.
Non chiamai i miei genitori per tornare a casa perché avevo paura.

Persi 2 kg in un giorno e solo dopo aver raccontato a qualcuno l’accaduto (3 mesi) scelsi di farmi aiutare a riprendere peso.
Ma nessuno, mi ha aiutato a ritrovare serenamente la stabilità mentale.
Forse, perché nessuno mi ha mai creduto fino in fondo.

E’ inutile che io racconti il resto della mia vita perché è tutto racchiuso in un giorno di maggio.
Da quel giorno, le cose si incrinarono e con il tempo, peggiorarono.
A parte i miei due amori più sinceri, solo dolore.
Anzi, iniziai a usare il cibo come fonte di gratitudine, ingurgitando quantità di calorie esuberanti.
Per i primi tre anni, arrivavo a 53-54 kg come un tempo e poi scendevo.
Poi arrivi a un punto di non ritorno, non sai fermarti più e il tuo primo pensiero sono le abbuffate.
E non c’è più “smettila di mangiare” che tenga, nessun farmaco, nessuna cura.
Un tempo il fatto che i miei mi vedessero grassa o insomma le battutine, mi spingevano a risalire da baratro in cui mi trovavo. Adesso, neanche quando mi dicono “ha il viso gonfio” mi aiuta.
Anzi penso “ma tu lo sai che io lo so e che se me lo ripeti è peggio”.
O come quando affermo “io oggi non pranzo” e sento ripetermi “vabbè ti sei già strafogata”.
Una persona bulimica, ha dei momenti di restrizione del cibo, ma è talmente debole che se non creduta o destabilizzata, non riesce a risolvere il problema.
Credevo di essere migliorata in questi anni, che qualsiasi cosa potesse distrarmi dal cibo e invece non è stato così.
E fa tanto male non riuscire ad uscirne.
L’unica cosa da non fare con una persona affetta da bulimia, è deluderla, farla sentire inferiore.
Chiamarla “ingombrante”.
Il cibo ha preso il posto più grande all’interno della mia vita.
E tutto ciò che ne consegue, è incapacità nel saper gestire le relazioni ad esempio.
“non sono bella come un tempo”, quindi accetto chiunque mi dia un minimo di attenzione.
“mi sento inferiore e piccola” e quindi ho frequenti rapporti sessuali, per quanto ci possa riuscire.
E se c’è una cosa che so bene, è che se subisci violenza non è detto tu debba chiuderti.
Io per non provare più quella sensazione di impotenza, ho sempre desiderato aprirmi, pur non riuscendoci.
Perché non volevo sentirmi bambina, perché cercavo di sentire emozioni.
Ed è ovvio che io mi sia sempre sentita usata, ma era meno frustrante del potermi sentire emarginata.
Dunque, il cibo e i rapporti sessuali sono strettamente collegati nella mia vita.
E non è un percorso semplice, è un anno che la bulimia è comparsa nuovamente nella mia vita senza volerne uscire.
E io aggiungerei che i giudizi della gente fanno molto, fanno troppo.
Ho tanta voglia di svegliarmi e non sentirmi sola.
Abbandonata solo dalla mia malattia.
E soprattutto, se non ci siete passati, non affrettatevi a dare spiegazioni o finte soluzioni.
I pensieri inutili sono ingombranti, non tu.
Tu che stai scrivendo o tu che stai leggendo.
Pensa sempre che è sempre un giorno buono per cominciare.
E se non ci riesci, è perché non devi crederci solo tu.
Devi essere supportata e sopportata, devi essere creduta.
Fidati, non sei ingombrante, sono i tuoi vuoti ad esserlo.
E’ ciò che ti è successo ad essere ingombrante.
Sposta, sposta tutto ciò che non ti serve.
E quando l’avrai spostato, lo so che ti sentirai sola.
E lo so che accetterai chiunque possa passare il tempo con te.
Ti dico un segreto, se riuscirai a smettere di mangiare così,
ti sentirai più bella e potrai scegliere tu chi amare.
Dicono che il cibo non sia il problema principale ma
per un bulimico, credimi, è tutto.
Non ti preoccupare se ti diranno che non mangi perché hai già
mangiato, se non lo hai fatto non devi scoraggiarti.
Anzi, prendi ciò che ti dicono come spinta per dire “adesso ti faccio vedere io”.
Ci sono mostri, che hanno bisogno di essere tenuti veramente per mano.
Perché devi imparare a conviverci.
E ti assicuro, che non appena uscirai dal tunnel,
troverai ciò che meriti perché verrà lui a cercarti.
Non avere paura, ma abbi tanto coraggio.
Abbi il coraggio di lasciare indietro la te ingombrante.
Che tanto ingombrante non era, su !.