Le storie

dott. Giuseppe Montefrancesco

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The Drug Side of a Trip: Portugal – Bairro Alto. Parte 2

I giovani portoghesi non fumano mica   fumano pólen (polline), ossia hashish proveniente dal Marocco. Lo avevamo comprato da un gruppo di ragazzi lisbonesi incontrati in una delle pazzesche notti al Bairro Alto, “il quartiere del divertimento”, sicuramente uno dei quartieri con la percentuale più alta al mondo di consumo di alcol per metro quadrato.
Non si tratta certo di un dato statistico ma la sensazione che si prova, non appena ci si addentra nelle stradine colorate, è di abbandono totale al delirio di massa. E’ come se i confini della persona si sbiadissero ad ogni passo tra la folla urlante e festosa. Il Bairro Alto è un moderno paese dei balocchi, un quartiere storico che col buio si trasforma e si fa più accattivante: al calar del sole l’autentica vita popolare si barrica nelle graziose casine per lasciare spazio al godimento illimitato della notte.
Bar, bar, bar.
Insegne luminose a destra, a sinistra, ad ogni angolo. Procedevamo a spinta tra falangi di ragazzi in cerca di emozioni forti, della gloria di una serata. Gli unici punti di riferimento erano gli enormi cartelloni dei menu, esposti all’esterno di ogni locale: la competizione è altissima, i prezzi esageratamente economici. Per quel sovraffollamento in stato di ebbrezza ciò che conta è la quantità, l’offerta: i cocktail si misurano in litri, tre euro per 0.5 l, cinque per un litro. I turisti nord europei si aggirano eccitati alla ricerca frenetica della ragazza del posto, rimbalzando tra disco-bar dove la musica è troppo alta per parlare. Camminavamo in un riuscito miscuglio interculturale fondato sul consumo di alcool, dove un australiano vomita accanto ad una signorina di Figueira, dove vincono il caos artificiale e l’illusione del desiderio.
Persi.
Ci ritrovammo in un baretto, leggermente fuori dal nucleo caldo del quartiere. Disponevamo di almeno due metri quadri per muoverci, c’era buona musica reggae, incontrammo un gruppo di ragazzi di Lisbona. Riuscimmo finalmente a scambiare qualche parola sulle nostre vite e sul carattere della città, fumammo insieme pòlen fresco, si… Noi tre, a quel punto, eravamo alla ricerca di un posto dove ballare, smaltire la tequila e fare mattina. Eravamo in viaggio e volevamo evadere dal Barrio. Ci consigliarono il Lux, secondo loro l’unico posto in città dove si trovava musica techno fino alle luci del giorno. Dopo un po’ di scherzose pressioni, si decisero anche a venderci buona parte del loro ottimo hashish ad un prezzo amicale. Era stato l’incontro giusto per svoltare la serata. Li ringraziammo e li salutammo con simpatia. Dopo pochi minuti di taxi arrivammo al Lux, il portavoce della club culture europea nella capitale di periferia.

Un cubo di cemento in uno spiazzo asfaltato, sulla riva del fiume. Dentro, un arredamento a metà tra il minimal e il kitsch, una clientela raffinata, finta al punto giusto. Passammo buona parte della notte nella sala a piano terra, grande, scura, con un soundsystem potente. Ci perdevamo di vista e ci rincontravamo a intervalli regolari: tra di noi comunicavamo con intensità ma senza parole, ognuno perso nel suo individuale abbandono ai ritmi tribali. A metà serata X (i tre amici in viaggio siamo io, X e Y) ci presentò un esuberante signore sulla quarantina, appena conosciuto “sotto cassa”: Carlos, presto soprannominato “el carregado”. Secco, pelato, abbigliamento giovanilistico rigorosamente nero, gli occhi inquieti, sprigionava energia incandescente. Si rivolse a noi come a dei vecchi amici di baldoria, ci considerò i migliori compagni per quella notte. Presentò alla nuova e ridente compagnia anche le sue due giovani amiche, con le quali spesso spariva per ricomparire poco dopo, più energico che mai. Così, dopo averci offerto vari cocktail, si decise anche ad invitarci ad una di quelle fughe: “vamos! Coca! Md! Con las tias buenas!”. Io e Y rifiutammo, lui ci guardò come due stronzi ma accettò la nostra scelta. X andò con loro.

Dopo alcune ore eravamo allungati sui divani della suggestiva terrazza del club. Aspettavamo che il sole sorgesse dall’altra sponda del fiume, fumando lentamente una canna. Carlos ogni tanto si tirava fuori dal vortice di effusioni con le sue amiche per rispondere alla mie curiose domande. Quando vennero a comunicarci che il club stava chiudendo, avevo un immagine più nitida della vita del carregado, oltre ad un’idea più chiara della diffusione di droghe in Portogallo. Carlos comprava la sue droghe preferite, la cocaina e l’Mdma, in un negozio! Mi spiegò che non erano propriamente cocaina ed Md, ma delle sostanze sintetiche create apportando modificazioni alle molecole delle sostanze originarie: smart drugs! Era convinto che gli effetti fossero uguali a quelli delle droghe “originali” e soprattutto era contento di poter comprare queste sostanze, legalmente e ad un prezzo vantaggioso, nel suo smartshop di fiducia. “In uno smartshop puoi trovare di tutto. Dovete andarci assolutamente, ce ne sono ad ogni angolo. Qui è legale drogarsi! Ah ah ah!”. Carlos ci andava tutti i venerdì pomeriggio, a fine turno di lavoro in ristorante. Viveva una vita comune fino al venerdì pomeriggio, ma dalla consueta visita allo smartshop, in poi, sceglieva di dedicare più di cinquanta ore no-stop al consumo di coca ed md versione smart. Ci confidò che dal venerdì mattina al lunedì sera non dormiva, mai. Nel week end viveva su un universo parallelo, “bellissimo” secondo lui.

Usciti dal club, erano ormai le sette, ci invitò con insistenza a casa sua per continuare a pippare con altre amiche. X era indeciso, io e Y assolutamente contrari. Ci guardò ancora come due stronzi, ma accettò il rifiuto, assicurandoci che la notte dopo l’avremmo trovato al Lux, sotto cassa.
Alle dieci eravamo distesi all’ombra di una pineta, in una riserva naturale alla periferia della città. Con lo zaino sotto la testa e l’ultimo joint in bocca, ci addormentammo. Al risveglio ridemmo senza limiti, mangiando un pasteis de nata e ripensando a Carlos “el carregado”.

In fondo, però, questi smartshop ci avevano incuriosito…