Trattamento della dipendenza da oppiacei, eroina ed altri.

dott. Giuseppe Montefrancesco

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Dott. Giuseppe Montefrancesco

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Trattamento farmacologico dipendenza da oppiacei

Per il caso degli oppiacei il trattamento della relativa dipendenza utilizza farmaci agonisti o farmaci antagonisti, riportati in basso:
Metadone, un oppiaceo sintetico, agonista dei recettori µu, che previene l’astinenza ed il desiderio ma non produce un’euforia uguale a quella degli altri oppiacei
Buprenorfina, un oppiaceo sintetico, agonista parziale dei recettori µ (mu), che presenta rischi minori di indurre dipendenza o overdose.
Naltrexone, blocca i recettori degli oppioidi riducendo il desiderio del loro uso, non ha effetti narcotici ed il desiderio di questi può continuare nel paziente.

Buprenorfina

Negli ultimi anni, la buprenorfina è stata considerata una valida alternativa al metadone nel trattamento della dipendenza da eroina e dal 1999 è compresa tra le specialità (Subutex da 2 e 8 mg) prescrivibili per attuare misure di disintossicazione o anche di mantenimento.
E’ un oppiaceo di sintesi e deriva dalla tebaina.
La molecola, a differenza del metadone, è:
un parziale agonista dei recettori mu e assieme un antagonista dei recettori k;
ha un’elevatissima affinità per i recettori su cui agisce e da questi si dissocia lentamente.
Quanto detto comporta, rispetto al metadone, diversi vantaggi:
1. l’agonismo parziale (la stimolazione è presente ma non massimale) non consente alla buprenorfina di esercitare un effetto gratificante pari agli agonisti puri, tipo eroina o metadone, ma inferiore; per questo ha minore potenzialità d’abuso, minore grado di indurre dipendenza, i pazienti si sentono “più normali” perché meno confusi e, in caso di sospensione, provoca una sindrome astinenziale più lieve;
2. l’antagonismo sui recettori k, unito all’agonismo parziale sui mu, corrisponde ad un minor rischio di overdose (di depressione respiratoria e di sedazione legata alla stimolazione dei recettori mu) anche ad alte dosi;
3. l’elevata affinità e la lenta dissociazione dai recettori danno ragione della lunga durata d’azione tale che è possibile somministrare la buprenorfina ad alte dosi (agonismo parziale) e ad intervalli più lunghi rispetto al metadone (sino a 3-4 giorni);
4. l’affinità è così elevata che dosi abituali di naloxone (Narcan) non sono in grado di produrre astinenza così come è in grado di impedire l’azione di altri oppiacei svolgendo un effetto di tipo antagonista. Maggiore è l’affinità maggiore dovrà essere la dose di un altro oppiaceo per allontanarlo dal recettore.

La buprenorfina è come se associasse gli effetti agonisti del metadone e antagonisti del naloxone.

Le dosi normalmente utilizzate nel trattamento della dipendenza da oppiacei sono molto superiori a quelle che producono analgesia in soggetti non dipendenti, dalle 30 alle 70 volte maggiori.
La buprenorfina viene somministrata per via sublinguale e si dissolve in 2-8 min.
Gli effetti si avvertono entro 30-60 min., con un picco alla 2-3 ora e si mantengono sino a 3 giorni in dipendenza dalla dose.
La sua biodisponibilità per tale via è moderata e il picco plasmatico viene raggiunto entro 90 min.
Nel plasma il farmaco è legato per più del 90% alle proteine plasmatiche, viene metabolizzato nel fegato (ossidato via citocromo P450) in norbuprenorfina ed altri metaboliti glucoronati; questi vengono eliminati con le urine mentre la buprenorfina immodificata si ritrova nelle feci.
E’ stato osservato anche un ricircolo entero-epatico.
La sua semivita è tra le 24 e le 60 ore.
Il farmaco non è comunque esente da rischi, soprattutto se assunto assieme ad altre sostanze: con le benzodiazepine che potrebbero favorire una depressione respiratoria o portare ad uno stato di coma o se viene somministrato per via endovenosa, pratica possibile data la sua elevata solubilità in acqua manifestando in tale modo le potenzialità d’abuso.
Inoltre il suo utilizzo assieme ad altri oppiacei, eroina o metadone, può scatenare una grave sindrome astinenziale (circostanza, d’altra parte, di cui bisogna tenere conto quando si inizia la terapia con questo farmaco)
Al fine di ridurre il potenziale d’abuso, la buprenorfina è stata associata al naloxone (Narcan), in un
rapporto 4:1; se tale preparazione viene assunta per via sublinguale, l’assorbimento della buprenorfina avviene completamente e non è disturbata dal naloxone il cui assorbimento è al contrario lento.
Se invece la compressa viene frantumata ed usata per endovena, il naloxone giunge più rapidamente e prima della buprenorfina a livello del sistema nervoso centrale e vanifica gli effetti ricercati; in più se vi sono “residui” di oppiacei il naloxone può scatenare una sindrome astinenziale.
Entrambe le conseguenze dovrebbero dissuadere dall’utilizzo del farmaco per endovena.

In linea generale, la buprenorfina è indicata nei pazienti giovani, con grado di dipendenza di minore gravità e presunto craving moderato.
Il suo costo è più elevato del metadone, 65 euro a persona la settimana.

Il trattamento deve iniziare perlomeno 6 ore dopo l’ultima assunzione di eroina; idealmente il paziente dovrebbe mostrare i primi segni di astinenza, in modo che non sia la stessa buprenorfina a scatenarla perché vi sono ancora “residui” cerebrali di altri oppiacei.
Indicativamente la dose iniziale è di 2 mg che peraltro non garantisce protezione dall’uso di eroina; entro 3 giorni la dose dovrebbe raggiungere gli 8 mg (2mg il primo giorno, 4 mg il secondo, 8 mg il terzo).
Pur con ampie variazioni individuali la dose giornaliera efficace è compresa tra gli 8 e 32 mg; per raggiungere tale massimo dosaggio ogni incremento dovrebbe essere fatto ogni 5-10 giorni, aumentando di 4-8 mg per volta per verificare se il paziente ne ha obiettivamente bisogno.
Anche il paziente a metadone può assumere buprenorfina, ma il “trasferimento” deve essere fatto con cautela e solo quando il paziente è al di sotto di 20 mg di metadone e dopo almeno 24 ore dall’ultima assunzione di metadone.
Al solito è meglio attendere il più a lungo possibile (meglio con la comparsa di segni di astinenza) per iniziare il trattamento con una dose di 4 mg e in seguito modificare secondo la risposta del paziente.
Uno dei vantaggi, prima riportati, della buprenorfina è che può essere assunta a giorni alterni data la lunga durata d’azione; si può allora raddoppiare la dose giornaliera (es. da 8 a 16 mg per lunedì/martedì e per giovedì/venerdì) e triplicarla, 24 mg, per sabato/domenica/lunedì.
Talvolta si verifica che la stessa quantità giornaliera sia sufficiente per 2 giorni o più; in ogni caso questo significa che il paziente non deve recarsi quotidianamente al Servizio a differenza di quanto accade con il metadone.
Infine, in caso si volesse “scalare” il farmaco, questo dovrà essere fatto in un tempo opportuno (1-2 mesi o a seconda del caso) e con una riduzione di 2-4 mg in dipendenza della risposta; è inoltre conveniente non procedere con una sorta di disintossicazione rapida ma più spesso “fermarsi” e accordarsi con il paziente.
La sintomatologia astinenziale è molto più moderata con la buprenorfina, rispetto a quella con il metadone; i sintomi di norma scompaiono entro una settimana ma possono durare anche qualche mese.
Freddo, sintomi influenzali, mal di testa, sudorazione, dolori muscolari, difficoltà a dormire, nausea, alternanza dell’umore, perdita dell’appetito, nervosismo, sono quelli più frequenti.

Metadone

Il metadone è il farmaco più comunemente utilizzato nelle terapie sostitutive in quasi tutti gli stati Europei, ad eccezione della Francia in cui viene prefinta buprenorfina.
Il suo costo è piuttosto basso, 8 euro a persona la settimana.
Gli studi pionieristici sul suo impiego e sulla sua efficacia furono condotti da Dole, Nyswander e Kreek tra il 1964 e 1966, più di 40 anni fa, dimostrando che dosi medio-alte rispetto a quelle analgesiche erano in grado di bloccare completamente la sindrome astinenziale ed in più di ridurre il desiderio (craving) di assumere la sostanza.
Questo stabilizza la vita del paziente che diviene relativamente libero dal desiderio e quindi dalla necessità di procurasi in vario modo il denaro per comprare nuovamente eroina. Si stima che l’investimento nel metadone consente enormi benefici economici per riduzione dei costi sociali e sanitari, altrimenti presenti, al pari dei costi per le attività criminali e il controllo di queste.
Il metadone:
– risolve completamente i sintomi astinenziali
– blocca gli effetti euforici e sedativi degli oppiacei
– può eliminare l’intenso desiderio motivo delle frequenti delle ricadute
– non causa euforia o instabilità
– facilita la terapia comportamentale di supporto
– il paziente può riprendere o conservare una vita produttiva ed affettiva.
I benefici conseguenti del metadone includono:
– riduzione o cessazione dell’uso di droghe iniettive;
– riduzione del rischio di overdose e dell’acquisizione o trasmissione di malattie infettive come l’HIV, l’epatite B e C le infezioni batteriche, le endocarditi, le infezioni dei        tessuti molli, tromboflebiti, tubercolosi o di malattie sessualmente trasmesse;
– riduzione della mortalità;
– riduzione dell’attività criminale;
– miglioramento della stabilità familiare;
– miglioramento della potenzialità lavorativa.
Le principali proprietà del metadone sono:
– la sua efficacia per via orale (sciroppo )
– la sua lunga durata d’azione
– la sua capacità di esercitare tali effetti in maniera persistente anche dopo prolungate ripetizioni della sua somministrazione.
non instaura mai tolleranza nei confronti della sindrome astinenziale e del craving per l’eroina.

Il metadone è usato nell’ambito di programmi terapeutici a breve, medio e a lungo termine.
Nei programmi di disintossicazione a breve termine ( somministrazione del metadone per un periodo di circa 3 settimane) in realtà si ottengono di rado buoni risultati perché, una volta superata la fase astinenziale ed interrotto il metadone, sono frequentissime le ricadute. Questa metodologia appare più conveniente quando il paziente è in ambiente protetto, in situazioni residenziali che impediscono che il paziente risolva i sintomi astinenziali, che comunque si ripresentano, acquistando nuovamente eroina. La disintossicazione è generalmente considerata come precursore o primo approccio ad un trattamento più lungo ed è finalizzata al trattamento di effetti potenzialmente pericolosi che si presentano quando si cessa di assumere la sostanza d’abuso.
Un piano terapeutico un po’ più protratto, di circa 180 giorni, è detto “medio” o “intermedio”, perché compreso tra la breve disintossicazione e il metadone “a mantenimento” che può durare molti anni. I migliori risultati si osservano con un trattamento a lungo termine, ovvero con il metadone a mantenimento (il paziente “è a metadone” dai 6 mesi a più di 3 anni; in molti casi il metadone viene assunto per tutta la vita) nell’obiettivo di una riduzione dei comportamenti a rischio e dei danni conseguenti al consumo.

Farmacologia
Il metadone è un oppioide sintetico a lunga e prevalente durata d’azione sui recettori mu; esso presenta anche una qualche attività sui recettori K e delta.
Le sue proprietà farmacologiche sono pressoché sovrapponibili a quelle della morfina; a differenza di questa, dell’eroina, dell’ossicodone e di altri oppioidi che permangono nell’organismo per relativamente poco tempo, il metadone ha effetto per giorni.
Tali azioni determinano complessivamente analgesia, depressione respiratoria, notevole sedazione, soppressione della tosse, nausea, vomito e costipazione intestinale; è presente un effetto miotico per costrizione pupillare, l’aumento del tono biliare e la riduzione di quello vescicale. Esso ha azione sulla funzionalità ormonale (ridotta produzione di ACTH e marcata riduzione del testosterone) e causa dipendenza.
Nella pratica clinica può essere prescritto come analgesico (con una dose iniziale di 5-10 mg e poi aumentata) ma esso è particolarmente usato nel trattamento della dipendenza da oppiacei.
La forma utilizzata è quella racemica, anche se la porzione attiva è quella levogira (l-metadone) da 8 a 50 volte più potente dell’isomero d.

Farmacocinetica

Il metadone quando somministrato per via orale viene assorbito rapidamente ed ha un’elevata biodisponibilità non subendo un first pass-effect, tipico invece dell’eroina e della morfina. Nel plasma si ritrova entro 30 min. e la massima concentrazione si rileva entro 4-5 ore.
L’effetto viene avvertito dal paziente gradualmente per cui esso non avverte il tipico flash dell’eroina, al più si tratta di un lieve effetto euforizzante che peraltro è sempre presente anche dopo anni di trattamento. Esso una notevole liposolubilità, si distribuisce estesamente nei vari distretti dell’organismo da cui poi viene rilasciato lentamente ed ha un elevato legame con le proteine plasmatiche (tra il 60 e il 90%), con l’albumina e soprattutto con una alfa-glicoproteina.
Entro il tempo di 4-5 giorni o 1 settimana si raggiunge una fase di equilibrio tra la dose assunta giornalmente ed eliminata e quella che dai tessuti viene lentamente e stabilmente ceduta; le fluttuazioni dei primi giorni così scompaiono.
Viene metabolizzato nel fegato (per demetilazione) con produzione di 2 metaboliti, entrambi inattivi, escreti con le feci e le urine assieme a metadone immodificato. Il fegato è il sito dove maggiormente si accumula il metadone e poi rilasciato sostanzialmente immodificato.
L’escrezione urinaria è molto influenzata dal grado di acidificazione delle urine; più basso è il pH maggiore è l’eliminazione. Vi sono marcate differenze individuali nella farmacocinetica del metadone; la concentrazione plasmatica come la semivita fluttuano grandemente tra i pazienti e nei singoli pazienti.
La semivita, dopo ripetute somministrazioni, può essere molto superiore alle 18 ore riportate dopo una singola dose, con un range tra le 15 e le 60 o più 12

I dosaggi del metadone
Generalmente il metadone viene somministrato con una quantità giornaliera di 20-30 mg, che può aumentare di 5-10 mg/die, sino al raggiungimento di un dosaggio compreso tra i 60 e i 100 mg/die o anche maggiore.
Nei primi giorni, se i segni astinenziali non vengono soppressi o ricompaiono, si può somministrare altro metadone, ma è consigliabile non superare nelle 24 ore i 60 mg ; di solito, entro 4-5 giorni, si raggiunge una fase di stabilizzazione che si mantiene per tutta la giornata, senza alcun segno astinenziale e senza le fluttuazioni tipiche dell’eroina.
Il dosaggio va in ogni caso adeguato al paziente; in linea generale le dosi più elevate di metadone producono una riduzione del consumo di eroina significativamente maggiore di quelle più basse. Malgrado le evidenze dei risultati, molto spesso si osservano resistenze, per varie ragioni, del personale sanitario verso dosi adeguatamente elevate . Complessivamente attenzione al dosaggio va posta:
– in caso di acidificazione delle urine (per dieta carnea, digiuno, iperpiressia,); il metadone è una base debole e tende a dissociarsi in ambiente acido per cui non può essere riassorbito; consegue una sua maggiore e rapida eliminazione e la semivita si riduce;
– allo stesso metadone che ha attività inducente sul fegato; questo si può evidenziare dopo 15-20 giorni con necessità di aumentare le dosi per aumentato fabbisogno giornaliero.
Altre circostanze che potenzialmente possono accelerare o ridurre la sua metabolizzazione e quindi richiedere un aggiustamento della dose sono l’interazione con altri farmaci:
• gli antiepilettici – carbamazepina, fenitoina, il fenobarbital, che accelerano il metabolismo per induzione epatica
• gli antibiotici – tetracicline, rifampicina, ciprofloxacina; quest’ultima aumenta tossicità del metadone
• antifungini – fluconazolo che aumenta la tossicità del metadone
• antivirali – a seconda del tipo, riducono o aumentano le concentrazioni del metadone
• gastrointestinali – cimetidina che può aumentare la tossicità del metadone.

Anche l’alcol può determinare un’accelerazione del metabolismo e innescare una sintomatologia astinenziale; al contrario in caso di eccessiva assunzione alcolica il paziente può avere un’overdose da metadone per mancata metabolizzazione epatica (l’alcol è comunque pericoloso perché aggrava gli effetti di depressione respiratoria già indotti dall’oppiaceo).
In generale, se state assumendo un qualsiasi tipo di farmaco, è necessario discutere con il proprio medico delle possibili interazioni con il metadone.
Se siete ricoverati in ospedale, se vi recate dal dentista o ad altro medico avvisate del vostro trattamento a metadone.
Nelle donne in gravidanza la concentrazione plasmatica del metadone si riduce, soprattutto per aumentato metabolismo o aumentata distribuzione; in queste circostanze andrebbe valutata la possibilità di aumentare la dose per evitare di indurre l’uso di eroina.
Infine il metadone è considerato compatibile con l’allattamento; secondo alcuni la dose andrebbe ridotta e il neonato monitorizzato per evitare un’eccessiva o pericolosa sedazione mentre secondo altri è improbabile che la quantità presente del farmaco nel latte materno che abbia effetti farmacologici.

Effetti collaterali
Molte persone durante il trattamento possono presentare alcuni sintomi dovuti a problemi di dosaggio, troppo basso o troppo alto o ad altri effetti dovuti al farmaco.
Se il metadone è troppo basso i sintomi sono quelli dell’astinenza da oppiacei: costante secrezione nasale, crampi addominali, nausea, vomito, diarrea, dolori alle ossa e alle articolazioni, sudorazione, nervosismo, irritabilità, instabilità dell’umore.
Se il metadone è troppo alto i sintomi sono tipo un’intossicazione da oppiacei: assopimento, sonnolenza, vertigini (capogiri), “ciondolamento del capo”, respirazione poco profonda, nausea, vomito, miosi, ipotensione.
Tutti questi sintomi possono essere corretti da un giusto adeguamento del dosaggio e bisogna parlarne al medico di riferimento.
Il metadone può indurre effetti collaterali che non sono dipendenti dalla dose; non tutti i pazienti li presentano ma è comune che riportino di uno o più dei seguenti effetti spiacevoli:
• sudorazione aumentata, specialmente la notte;
• stipsi, molto comune. E ‘consigliabile bere molta acqua, mangiare frutta, verdura, cibi alla crusca e ricchi di fibre;
• dolori ai muscoli e alle articolazioni e questo anche quando la dose è giusta;
• riduzione del desiderio sessuale che si può presentare con l’uso di qualsiasi tipo di oppiaceo, incluso il metadone e l’eroina;
• reazioni cutanee e prurito, riferiti da qualche paziente ma usualmente si aggiustano;
• sedazione eccessiva (specialmente subito dopo l’assunzione della dose) che in genere si riduce entro una settimana ma potrebbe richiedere una riduzione del dosaggio;
• ritenzione di liquidi che causa sudorazione o gonfiori alle mani o ai piedi;
• perdita dell’appetito, nausea e vomito, ma questi scompaiono rapidamente;
• crampi addominali ma anche questi scompaiono rapidamente.

Alcuni di questi sintomi possono essere confusi con i segni di astinenza o di altra malattia; anche in questo caso bisogna parlare con il medico per decifrarne la natura.
Il paziente ha quasi sempre i sintomi riportati in basso e verso questi è difficile che possa acquisire tolleranza:
– stipsi
– riduzione del desiderio sessuale
– sudorazione profusa.

Altri potenziali problemi sono:
– caduta dei denti. Il metadone, come tutti gli oppiacei, riduce la produzione di saliva; questa contiene agenti antibatterici ed aiuta a prevenire il loro deterioramento e quello gengivale. Una dieta irregolare e scarsa ed un’igiene inadeguata contribuisco al danno.
– irregolarità mestruali. Molte donne, quando usano eroina o altri oppiacei presentano un ciclo irregolare; questa irregolarità si aggiusta durante il trattamento a metadone ma per altre continua. Quando si avvia un trattamento a metadone è importante pensare alla contraccezione per evitare di avere gravidanze inaspettate o indesiderate.

Anche se assunto per un lungo periodo di tempo, il metadone non produce alcun altro significativo effetto alla salute.
Molto spesso accade che i pazienti a “metadone a mantenimento” continuino a fare uso di eroina o di altre sostanze, come la cocaina, la marijuana o l’alcol durante il trattamento.Questo riflette la complessità della malattia e le ragioni d’uso, la storia del paziente, la sua personalità e le circostanze che lo circondano; infine riflettono le basi biologiche della dipendenza. Molti pazienti in trattamento non hanno sempre un completo controllo dei propri comportamenti e delle proprie pulsioni all’uso.
La guarigione o una vera remissione dello stato di dipendenza si ottiene dopo molto tempo, è un processo che si conquista giorno dopo giorno ed è caratterizzato da frequenti ricadute. 14

Particolare attenzione va posta nei riguardi del metadone “affidato” al paziente; il farmaco deve essere inaccessibile ad bambini che rischiano di morire per un’overdose accidentale. Lo stesso può accedere nel caso in cui il metadone venga “ceduto” a qualcuno che non è tollerante all’azione del farmaco.
Anche il metadone può causare un’overdose nei pazienti in trattamento; è raro che questo accada ed in caso contrario è soprattutto dovuto all’associazione con altre sostanze. Ogni poliassunzione comprendente oppiacei, eroina e metadone, alcol e benzodiazepine o altri sedativi aumenta pericolosamente il rischio di depressione respiratoria, come e morte.

Naltrexone

Il naltrexone è un oppioide semisintetico a lunga durata d’azione (24 ore) e con pochi effetti collaterali; esso è detto antagonista perché agisce selettivamente sui recettori mu degli oppiacei ed impedisce che questi possano esplicare i loro effetti gratificanti.
L’eroina come gli altri oppiacei agisce sui recettori mu del cervello e l’dea di prevenire il loro uso bloccando la loro azione è da sempre stata coltivata.
Il naltrexone si lega ai recettori suddetti con una forza 100 volte superiore a quella degli altri oppiacei che non possono così “allontanare” il farmaco, insuperabile almeno per il tempo della sua azione; esso non induce alcun effetto piacevole.
Un individuo che sia adeguatamente dosato con il naltrexone non ottiene alcun effetto se si autosomministra oppiacei e quindi la ripetuta assenza degli effetti ricercati e la percepita inutilità dell’uso di oppioidi dovrebbe diminuire gradualmente il desiderio per queste sostanze e la dipendenza da esse.
Il farmaco viene usato per aiutare i pazienti ad evitare le ricadute dopo che questi sono stati completamente disintossicati.
Prima di avviare il trattamento con questo farmaco il paziente deve essere quindi pienamente disintossicato sia dall’eroina, che dal metadone o da qualsiasi altro oppiaceo, altrimenti si può indurre una grave crisi astinenziale. E’ necessario osservare anche la funzionalità epatica giacchè il farmaco può negativamente influenzare il fegato già compromesso dall’eventuale presenza di epatopatie C e/o B, frequentemente presenti in questi pazienti.

Il naltrexone viene somministrato, per via orale, a dosi di 50 mg al giorno oppure a dosi di 200 mg 2 volte la settimana.
Il suo utilizzo è comunque limitato da alcune ragioni: la compliance, la piena partecipazione al trattamento da parte del paziente è infrequente perché il farmaco non presenta alcun incentivo (non induce alcun effetto).

I risultati sono buoni se il paziente è molto motivato e la partecipazione a questo tipo di terapia è limitato al 15% dei casi che si osservano in coloro che desiderano la totale astinenza, ad es. professionisti, carcerati con permesso di lavoro o in libertà vigilata; la possibilità pericolosa di aggirare l’ostacolo del naltrexone considerando semplicemente il suo tempo d’azione di circa 24 ore.
Se ciò avviene e il paziente usa eroina, (o anche dopo che è stato in trattamento per qualche tempo, settimane o mesi) egli non ha più la stessa tolleranza di prima e rischia fortemente una overdose. Esiste la possibilità di mantenere più a lungo in trattamento il paziente usando l’impianto di naltrexone; comunque il rischio di overdose, alla cessazione del farmaco, rimane sempre.