Le storie

dott. Giuseppe Montefrancesco

Responsabile del sito
Dott. Giuseppe Montefrancesco

[ VAI a tutte le STORIE ]

Quella puttana di carta

A me non è mai piaciuto il gioco delle carte, le scommesse o quanto di simile. Non so spiegare per bene perché non mi abbiano mai affascinato ed attratto. Credo dipenda dal tipo di sensazione che a me procurano perché anche una piccola vincita è così attesa che mi disturba. Mi disturba molto sia l’attesa di vincere che la rincorsa di un possibile recupero della perdita. Mi sembra un dolore ingiusto, concesso a “qualcuno” che non lo merita.

Le poche volte che ho giocato un po’ sul serio a carte (a poker) da ragazzino lo facevo perché, come le sigarette all’inizio svampate, volevo apparire più grande dell’età che avevo. Insomma uno dei tanti riti di passaggio…che palle. Alla fine nella mia vita ho smesso anche di fumare…di questo mi dispiace solo un po’ perché ogni tanto quella fottuta sigaretta ci starebbe bene. Ma è meglio non fumare. Sono fortunati quelli che fumano poco o giocano poco…ma sono pochi. Io non sto proprio nella testa appassionata di chi gioca se pure, per professione, comprendo appieno il piano emotivo del giocatore e ho visto più di qualche giocatore al tavolo dello chemin de fer.

Voglio quindi raccontare una piccola storia che ho vissuto da giovane adulto quando tornavo dall’università a casa, nel periodo delle feste natalizie.

Ero stato ammesso al cosiddetto Circolo cittadino per raggiunta età e mi piaceva essere considerato definitivamente adulto. Quindi giocavo a biliardo e talvolta mi avvicinavo al tavolo dove si davano le carte per dipanare il baccarà. Un gioco banale ma essenziale. Se con la somma delle carte ti avvicini a otto o nove, di norma vinci. A Natale sembrava avessero tutti soldi per il tredicesimo stipendio o per altre ragioni e allora si schieravano attorno al tavolo. Un piccolo brusio e il rumore di sedie spostate avvertivano l’apertura del gioco. C’era anche una piccola tenda che divideva lo spazio occupato poi dai giocatori. Si faceva luce, si scostava la tenda e tutto iniziava. Attorno a quel tavolo si mostravano i vari tipi comportamentali; chi con aplomb indiscussa perdeva senza battere ciglio, chi sembrava sapesse già in anticipo come dovesse andare la carta, chi non voleva essere disturbato, chi sudava con un viso arrossato da pensieri preoccupati, chi perdeva sempre. Questi ultimi sono di natura perdente, diceva mia madre con somma serietà, e così dava idea di un qualche destino infame che prodigava iattura a costoro, innocenti in fondo. Ma poveretti, ineluttabilmente perdenti. La maggior parte comunque giocava con una certa prudenza e le perdite erano contenute, come le vincite. Le vincite molto fortunate, per ripetute combinazioni vincenti, erano accompagnate da commenti che accennavano esplicitamente al fondo schiena. Ma erano le perdite irrimediabili che riempivano l’aria. Perdite rovinose che scivolavano con dispetto inarrestabile, che trascinavano il giocatore, che si accanivano senza sosta, che erano punizioni di qualche dio impietoso. Questo zittiva la platea che si affollava per vedere sino a che punto la catastrofe poteva arrivare. Devo anche dire che la vittima prescelta da quella puttana di carta (le aggettivazioni dure erano permesse e davano anche sfogo necessario) era più o meno sempre lo stessa o comunque sembrava preferire altri di uguale destino. Quelli, appunto, di natura perdente. Ad un certo punto  della serata però bisognava chiudere il Circolo; si era fatto tardi e non si poteva continuare a dare possibilità di rivincita malgrado i fatti del perdente fossero a conoscenza di molti o di tutti.  Tutti sapevano che costui doveva tornare a casa, che doveva raccontare nuovamente bugie, ed era Natale, e che aveva moglie e figli. Sapevano anche delle sue reali sostanze e quando lui chiedeva di tentare ancora presentando e firmando nervosamente assegni post-datati qualche parente vicino commediava di avallare la somma trascritta. Cazzo, andava al patibolo e non voleva fermarsi ! Quel maledetto recupero avrebbe ridato sorriso e irriso alle sfortune della vita. Lo volevamo in fondo tutti. Saremmo tornati anche noi a casa senza l’amaro dell’ineluttabile caduta. Invece come sempre accade lui perdeva, anche un ultima volta. Ora aveva contro tutti; perché tutti si erano intristiti. L’indomani di buon ora, magari era proprio il giorno di Natale, lui era già in piazza, vicino al Circolo e contava denaro.

C’era la lira allora. Che tristezza e dire che in fondo era veramente un brav’uomo. Se quella puttana di carta…

G. Montefrancesco