Le storie

dott. Giuseppe Montefrancesco

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La vergogna che circonda questa malattia.

Nel 2012, i newyorkesi Bill e Margot Williams hanno perso il loro figlio Will a causa di un’overdose, dopo aver combattuto per anni una lunga e difficile lotta contro la sua dipendenza.
Il padre di Will, dopo la sua morte, ha utilizzato la sua professione di regista , scrittore e insegnante di recitazione per superare il suo dolore e per parlare alle famiglie che stanno affrontando il problema della tossicodipendenza.
Queste le sue parole: “ Scrivo per rimuovere la macchia di vergogna che circonda questa malattia.”
NIDA che ha ritenuto la storia di questa famiglia avvincente ed emblematica, ha invitato i coniugi Williams alla cerimonia annuale della redazione ed ha messo a disposizione dello scrittore un blog dove può condividere i suoi pensieri con i lettori e come omaggio alle famiglie che stanno combattendo a fianco dei loro figli la malattia della dipendenza.

Questo è il drammatico racconto degli ultimi giorni di vita di Will e della generosità dimostrata dai suoi genitori.
Squilla il telefono, rispondo. E’ un amico di mio figlio che mi chiede se Will è a casa, vado in salotto dove vedo Will addormentato davanti al televisore. Rispondo che avrei svegliato Will dicendo di richiamarlo. Torno in salotto, Will non è addormentato, è in overdose. Ripiegato su se stesso, un velo opaco copre i suoi occhi, un ago per terra ai suoi piedi.
Chiamo immediatamente il 911 ed eseguo freneticamente le istruzioni dettate dal gestore del 911: lo faccio scivolare a terra nel tentativo di rianimarlo, sblocco la porta di casa per facilitare l’accesso ai soccorritori, cerco disperatamente di tenerlo in vita ma il suo cuore si ferma nel momento in cui l’equipe medica entra in casa. L’intervento immediato dei soccorsi permette al suo cuore di ritornare a battere e pieno di speranza arriviamo in ospedale.
Abbiamo trascorso, sua madre ed io, sei settimane al suo capezzale, sperando in un piccolo segnale di ripresa che non è mai arrivato. Il momento più difficile è stato quando abbiamo dovuto accettare, che nella migliore delle ipotesi Will sarebbe rimasto in uno stato vegetativo persistente per il resto della sua vita.
In quei giorni drammatici però abbiamo avuto il tempo di capire che la vita e la morte di nostro figlio non sarebbe stata vana, decidendo di “ staccare la spina” e di donare i suoi organi, eravamo con lui in sala operatoria quando è stato rimosso dal supporto vitale. Abbiamo deciso di fare una donazione anatomica del corpo di Will al College della Columbia University e tutti i medici, infermieri, tirocinanti che in quei lunghi giorni si sono presi cura di lui, ci hanno assicurato che c’era tanto da imparare da una tale donazione, e che nostro figlio potrebbe davvero contribuire a salvare la vita degli altri. Ma anche la donazione è stata una lotta. Infatti convincere il Medico Legale che l’autopsia non era necessaria è stata un’impresa che ha richiesto tempo e fatica, questo perché la ricerca scientifica ha bisogno di un corpo intatto; a persuadere è stato il fatto che avere a disposizione per lo studio il corpo di una persona così giovane morta in quelle circostanze è un dono così raro che non poteva essere ignorato. E così gli studenti di medicina il primo anno del loro tirocinio avranno di fronte a loro per lo studio dell’anatomia un loro coetaneo.

Se eravamo consapevoli delle decisioni prese , in quelle sei settimane al capezzale di Will non lo sappiamo, certo è che abbiamo avuto la possibilità di pensare all’opportunità di fare qualcosa di costruttivo in relazione alla vergogna e al silenzio che lo stigma della tossicodipendenza impone alle di famiglie. Quando ci siamo resi conto che la vita di nostro figlio sarebbe stata una non vita, i nostri pensieri e i progetti su cosa fare e come andare avanti si è evoluto.
Un lusso che non si può permettere la maggior parte delle famiglie che vivono le problematiche legate alla tossicodipendenza .
Che cosa possiamo imparare dalla tragedia delle morti per droga? Possiamo cominciare con avere la possibilità di studiare referti autoptici chiari e precisi.
Il caso di Will referta la sua morte con “complicazioni da intossicazione acuta da eroina” a causa di “abuso acuto e cronico di eroina.” Nessun mistero lì.

Ma il linguaggio usato per descrivere una morte a causa di oppioidi rimane la scelta di singoli medici. “Overdose di stupefacenti” e “tossicità oppiacei”, sono insufficienti. Abbiamo bisogno di un linguaggio congruente e coerente su scala nazionale. Come possiamo convincere i medici di famiglia e i medici legali che facendo un “favore” oscurando la causa di morte del loro congiunto contribuiscono a ritardare i risultati che potrebbero scaturire grazie alla ricerca scientifica? Quante “insufficienze cardiache”, per esempio, coprono i decessi dovuti a farmaci, non solo di persone giovani, ma anche di persone anziane dipendenti da oppiacei da prescrizione?
Le statistiche sulle morti di eroina e oppioidi sono difettose a causa di documentazioni incomplete, non rivelate, non rintracciati. Lo stigma che circonda la dipendenza impedisce una comprensione accurata sulla portata della malattia.
Abbiamo bisogno di una reportistica completa sulle morti provocate dalla droga. Qual’ è la sostanza d’abuso che ha provocato la morte? Quali combinazioni? Quante sono le persone coinvolte? Cosa potremmo imparare chiedendo la storia l’uso e abuso di un tossicodipendente e la storia medica prima della sua morte? Quali sono le complicazioni o cause collaterali sopravvenute? Potremmo imparare tanto se si decidesse di somministrare una serie standardizzata di domande complete per raccogliere informazioni utili.

Non abbiamo bisogno di fermarci a statistiche. Che cosa potremmo imparare da autopsie eseguite su morti causate dalla dipendenza da oppioidi?
C’è un posto dove una famiglia come la nostra, incline a fare un donazione anatomica, potrebbe donare un organo specificamente per la ricerca sulla dipendenza?
C’è una banca del cervello dedicata allo studio della dipendenza? Se è così, le persone, le famiglie devono saperlo. Abbiamo banche e dati per studiare le lesioni cerebrali causate da lesioni traumatiche dovute allo sport. Perché non averne per morti dovute a dipendenza?
In breve, dobbiamo essere coerenti, congruenti quando si parla di morti da dipendenza. I morti non parlano molto. O forse lo fanno e abbiamo bisogno di imparare ad ascoltare meglio.

Bill Williams dal Blog : http://billwilliamsblog.blogspot.com