Le storie

dott. Giuseppe Montefrancesco

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Le pompe e le budella

Sono le tre di un caldo pomeriggio d’estate. Agosto, l’afa. Sono sola in casa, sola con me stessa.

Io: la mia acerrima nemica. Agli occhi degli altri sono una forte, una leonessa, in realtà no, non lo sono. Sono debole, come una foglia che sta per staccarsi dal ramo stremata dall’autunno che incombe. La televisione è accesa, ma non la vedo. Sguardo fisso nel vuoto, in un luogo che non c’è. I brividi mi corrono lungo la schiena fino ad arrivare al collo, mentre le gocce di sudore partono dai capelli e si fermano in fondo alla schiena, un sudore ghiaccio, cattivo, insidioso. Sbadiglio e gli occhi lacrimano. Dentro la mia pancia stanno combattendo una guerra, le budella si contorcono. Sono avvertimenti. Ehi, stringi i denti. Ce la puoi fare, sei forte, una leonessa. Non mollare proprio adesso. Vorrei, ma non ce la faccio. Sono forte, una leonessa. Prendo il telefono, faccio un paio di telefonate e già inizio a sentirmi meglio. Sollievo. “Tanto ormai ci sono dentro”. Stronza, bugiarda, masochista ed ingenua. “Posso smettere quando voglio, non sono come voi”. Solo che non voglio. Forse. Non ho molti soldi, ma qualcosa dovrei rimediare. La mia bella faccina mi ha sempre aiutata. Mi metto qualcosa addosso, non importa cosa, non importa se questa gonna mi sta bene o no. Non è il momento di pensarci, è il momento di mettere fine a quest’agonia. Me ne sbatto di tutti e di tutto, voglio andare a farmi e nessuno me lo impedirà, nemmeno la mia stupida coscienza. Prendo la borsa, le chiavi, esco di casa e parto. Cazzo, le pompe. Cerca la farmacia di turno e riparti. In un’ora sono lì, aspetto una mezz’ora e finalmente ci siamo. Ho la mia busta. Una bella bustina bianca. Era da stamani che la sognavo.

E adesso è qui, tra le mie mani. E il tipo mi ha pure trattato meglio di quanto avrei mai pensato. Ringrazio la mia bella faccina. Non mi sento in colpa. Mi sento quasi compiaciuta. Cretina, stronza, paracula. Ne butto un po’ nella fiala, la mescolo all’acqua e tiro su. Che bel colorino. Un bel marroncino. Invitante. Laccio al braccio, cerco uno straccio di vena. Sono quasi tutte già bruciate. Ho ancora il fuorivena della settimana scorsa, livido, gonfio, brutto. Provo sul braccio destro, ma niente. Un buco. Due buchi. Tre buchi. Niente. Provo sulla mano. Un buco. Due buchi. Eccolo: il sangue. Mi eccito. Mi ha sempre eccitato molto il sangue. Spingo l’insulina. Ci siamo. Benessere. Piacere. Caldo. Tranquillità. Tanto da domani smetto. Bugiarda anche con me stessa.